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Giornata per la libertà di stampa: serve più protezione per i giornalisti

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Aleteia - pubblicato il 03/05/13

Non sempre lo Stato è qualcuno che difende

Il 3 maggio si celebra la Giornata mondiale per la libertà di stampa, promossa dall'Unesco. Nel nostro Paese, questa data viene dedicata alla sicurezza e alla libertà di espressione che, come si legge in un comunicato della Federazione Nazionale della Stampa, è particolarmente “a rischio nei luoghi di guerra, nelle terre dominate dai regimi e ovunque (anche in Italia) dalla malavita che infesta soprattutto le aree di frontiera” (Sky, 3 maggio).

Simbolo di questa Giornata è Domenico Quirico, inviato de “La Stampa” di cui non si hanno notizie dall'8 aprile dopo che era giunto in Siria e alla cui liberazione è dedicato l'appello sulla home page della Federazione. Solo nel 2012 sono stati 68 i giornalisti uccisi in tutto il mondo. Tra i luoghi più pericolosi figurano le ex repubbliche sovietiche, dove negli ultimi 16 anni sono stati uccisi 294 reporter, il Messico e la Siria. Anche l'Italia non sfugge però alle difficoltà. “La notizia di un attentato a un collaboratore de 'La Nuova Sardegna' ieri, in provincia di Sassari, è il più recente episodio di un fenomeno inquietante e da stroncare”, ricorda in una nota la Federazione della Stampa. 


Il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, ha sottolineato la necessità di rafforzare le misure per assicurare i giornalisti da pericoli quali atti di violenza, intimidazioni, processi ingiustificati e controllo, e ha ricordato che questa protezione deve includere anche tutti coloro che in senso più ampio fanno informazione, quindi anche i blogger e i semplici cittadini che, come i giornalisti, sono a rischio per quanto scrivono.

“In ogni angolo del mondo ci sono giornalisti minacciati, picchiati, trascinati in tribunale per spingerli a smettere di 'disturbare', rapiti, uccisi”, così come “ci sono Paesi in cui il 'pericolo' viene associato soltanto all’andare a raccontare le guerre all’estero e Paesi in cui ci vuole coraggio a descrivere ciò che accade sotto casa”, nonché “Paesi in cui le due cose convivono”, ha ricordato in occasione della Giornata il direttore de “La Stampa” Mario Calabresi (La Stampa, 3 maggio).

“Se chiedi a un giornalista tedesco o inglese che cosa sia pericoloso, ti risponderà: andare in Iraq, in Pakistan o in Mali. Se rivolgi la stessa domanda a un russo o a un messicano, il primo ti risponderà che rischia la vita chi non si muove di casa ma ficca troppo il naso nelle manovre del potere e nei suoi affari, il secondo che raccontare il narcotraffico e le guerre della droga è il mestiere più pericoloso del mondo. Ci sono posti in cui, il più simbolico è la Somalia, basta avere l’idea di aprire un giornale e di provare a fare cronaca quotidiana per rischiare di non vedere il tramonto”.

In Italia, “la domanda ha tante risposte”: “da noi se vuoi vivere tranquillo è consigliato non partire per la Siria, l’Afghanistan, la Libia ma anche non fare inchieste sulla ‘ndrangheta o la camorra e non importa se il tuo lavoro lo fai a Napoli, a Modena, nella Locride o nell’hinterland milanese. Ma non basta. Se vuoi evitare minacce, aggressioni e fastidi lascia perdere pure gli anarco-insurrezionalisti, evita di avere spirito critico ad una manifestazione contro la Tav e non metterti a presentare libri di dissidenti cubani”. L’Italia ha poi “la variante giudiziaria”: “da noi il sistema politico e quello affaristico hanno il vizio di usare l’arma delle querele come minaccia e la richiesta di risarcimenti esorbitanti e sproporzionati rispetto all’eventuale danno ricevuto per scoraggiare i cronisti, i direttori e gli editori e per renderli più gentili e 'distratti'”.

A suo avviso, “un diverso impegno internazionale, che faccia sentire la pressione dell’opinione pubblica su quei regimi che opprimono la libertà di stampa, può fare la differenza, specie quando si tratta di carcerazioni e minacce”, “perché non in tutti i Paesi lo Stato è qualcuno che ti può difendere”.

Come ha scritto Yoani Sánchez, dissidente e giornalista cubana più volte ostacolata per il suo lavoro, i giornalisti non possono “stare lontani dalla realtà, osservare dall’alto la vita delle formiche, usando la lente di ingrandimento per avere l’illusione di essere vicini”. “Dobbiamo invece assumere il punto di vista delle formiche, stare con i piedi ben ancorati a terra: essere cronisti del reale”.

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