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Don Pino Puglisi, la forza della semplicità

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Roberta Sciamplicotti - pubblicato il 02/05/13

A maggio verrà beatificato il prete antimafia di Brancaccio ucciso da Cosa Nostra

A vent'anni dalla morte, avvenuta il 15 settembre 1993, don Pino Puglisi, il prete antimafia di Brancaccio ucciso da Cosa Nostra,  è ricordato in centinaia tra volumi, articolo, siti web, documentari televisivi e film. Un nuovo libro, “Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia”, di Francesco Palazzo, Augusto Cavadi e Rosaria Cascio, nasce dalla necessità di non stereotipare la figura del sacerdote palermitano, ridotta a volte “a 'santino' innocuo senza un passato in cui si inserisce e senza una prospettiva di incidenza nella storia della Chiesa cattolica italiana”, soprattutto “senza che si conosca a fondo il metodo con il quale operò”.

Il testo ha “quattro tempi”: nella prima e nella quarta parte Francesco Palazzo, che ha conosciuto don Puglisi da giovane parrocchiano di San Gaetano a Brancaccio, racconta cosa fosse quel quartiere nei decenni precedenti al suo arrivo; nella seconda Augusto Cavadi, che incontrò don Puglisi in varie occasioni e che negli stessi anni era impegnato nel Centro sociale “San Francesco Saverio” all’Albergheria, propone riflessioni teologiche sul significato del suo martirio per la comunità cattolica e più in generale civile; nella terza Rosaria Cascio, già alunna di don Puglisi, delinea i tratti essenziali del “Metodo Puglisi” rintracciabile nelle diverse tappe della sua vita di presbitero.

Il volume è impreziosito da due testi sostanzialmente inediti messi a disposizione dagli autori: uno di don Francesco MicheleStabile, storico della Chiesa cattolica siciliana amico di don Puglisi sin dai tempi del seminario e incaricato di curare la documentazione necessaria alla causa di beatificazione, l'altro di Salvo Palazzolo, giornalista di “Repubblica” e saggista che negli anni giovanili è stato impegnato con don Puglisi nella Federazione cattolica universitari italiani.

Nel libro sono raccolte testimonianze di tante persone che hanno conosciuto don Puglisi. “Era una persona umile”, ha commentato una signora. “È morto povero: quando era disteso a terra si vedevano le sue scarpe bucate”. Il cadavere di don Pino venne ritrovato con nella mano serrata quel Cristo del quale dicono parlasse come di una fidanzata.

Puglisi era una persona molto ironica, dalla battuta pronta e pungente. “Sembra che i propellenti della sua vita fossero principalmente due: i libri – non solo di teologia, ma anche di psicologia e di sociologia – e la benzina, necessaria agli spostamenti della sua utilitaria, in giro per la città, per far fronte ai suoi molteplici impegni”.

La domanda fondamentale, quella sul perché don Puglisi sia stato ucciso, dopo due decenni è ancora senza risposta. Per chiarire la situazione si può iniziare analizzando e collocando in una cornice logica le tante azioni che il sacerdote ha compiuto nel difficile quartiere di Brancaccio, partendo dal forte legame che il sacerdote creò con il Comitato Intercondominiale “Hazon”, fino a sentirsi a tutti gli effetti uno di loro. C'è poi da sfatare il luogo comune che a dare fastidio sarebbe stata l’azione a favore dei bambini, che cercava di togliere dalla strada. Don Puglisi sarebbe finito nel mirino “perché stava lavorando in maniera sistematica e insistente con gli adulti nel territorio, fuori dalla sagrestia”.

Per Pino Martinez, leader del Comitato, in tutta la vicenda di don Pino, che avrà una tappa fondamentale nella beatificazione questo mese, c'è “la mano dello Spirito Santo”. “Da quel momento mafia e vangelo saranno per sempre incompatibili, dal giorno della beatificazione non ci saranno più scuse per nessuno”.

Puglisi fondò il Centro “Padre Nostro”, che concepiva come un prolungamento caritativo e conviviale della parrocchia, dove entrare gratuitamente e dove condividere pezzi di vita. Il nome del Centro, spiega Rosaria Cascio, è il contrario di “Cosa Nostra”: “Padre” evoca un mondo di affetti e di gratuità, “Cosa” richiama una sfera della quale ci si può impadronire con la violenza più bruta.

Con le interviste pubbliche il sacerdote cominciò ad essere lasciato solo, se ne accorse e iniziò a mandare fuori dalla Sicilia le persone più vicine. “Poteva dire basta perché aveva capito tutto essendo cresciuto in quelle zone, ma non lo ha fatto. Ha scelto di essere coerente: scappando, che educatore sarebbe stato?”.

In quegli anni don Puglisi fu anche coordinatore dei parroci della zona. Probabilmente tentò di estendere il suo modo di vedere la Chiesa e il territorio alle altre realtà parrocchiali, ma rimase sostanzialmente da solo. “Cosa avrebbe potuto significare un centro di accoglienza del genere in ogni territorio parrocchiale? Oppure se lo stesso Centro 'Padre Nostro' fosse diventato un patrimonio da difendere per la società civile? Una rivoluzione. Che avrebbe tolto dal cono d’ombra il corpo di Puglisi. Che è stato fatto fuori proprio perché lasciato solo insieme a quei pochi cittadini di Brancaccio che gli sono stati vicini sino alla fine”.

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