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25 aprile: la Festa della Liberazione che unisce (o disunisce) l’Italia

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FILIPPO MONTEFORTE

Aleteia - pubblicato il 26/04/13

La Resistenza “bianca”, la fine del nazifascismo, il valore della democrazia

Il messaggio fondamentale che invia il 25 aprile è duplice: la Festa della Liberazione ricorda infatti il valore della democrazia e la reciproca legittimazione tra forze che restano profondamente diverse, ma possono cooperare.

La liberazione, ovvero la fine della guerra e il crollo definitivo del sistema nazifascista in Italia e in Europa, è il risultato “di una precisa scelta e di una lotta, che genera un riflesso di convergenza, pur nella evidente distinzione dei soggetti”. Le forze che hanno collaborato per costruire una democrazia antifascista si sono infatti divise, ma hanno saputo “mantenere una reciproca legittimazione, che le ha portate, pur nella contrapposizione, a forme diverse di collaborazione”  (Agenzia Sir, 25 aprile).

Il senso della Liberazione è vivo e attuale ancora oggi, ha affermato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano visitando in occasione della festa il Museo della Liberazione a Roma, situato a Via Tasso, nel luogo in cui venivano torturati quanti erano arrestati dal regime. “Nei momenti cruciali per il Paese in tempo di crisi la memoria è fondamentale. Venendo in posti come questi, c'è sempre molto da imparare sul modo di affrontarli: serve coraggio, fermezza e senso dell'unità, che furono decisivi per vincere la battaglia della Resistenza” (Avvenire, 25 aprile).

Anche altre figure istituzionali hanno partecipato a cerimonie per ricordare la Liberazione. Da Milano, il presidente della Camera Laura Boldrini ha ricordato come si debba dire “con forza” che “non è mai, mai esistito il fascismo buono perché il fascismo è stato un regime illegittimo basato sull'assassinio politico e sulla persecuzione degli oppositori”. Anche se l'Italia si è liberata dal fascismo il 25 aprile 1945 e con il Costituzione del 1948, ha avvertito, “il germe dell'autoritarismo è sempre pronto a diffondersi soprattutto con la crisi”. Il presidente del Senato Pietro Grasso era invece a Marzabotto, teatro di una strage nazista nel 1944, dove di fronte alle critiche ha sottolineato che “è bello avere pensieri diversi e che ci sia dialettica sulla quale costruire qualcosa” ma è necessario “stare tutti uniti”, “non è possibile continuare a dividersi” sul 25 aprile.

Non sono mancate infatti le critiche, giunte soprattutto dal Movimento 5 Stelle, che ha parlato di una festa morta: “Nella nomina a presidente del Consiglio di un membro del Bildeberg [importante associazione finanziaria a livello mondiale] il 25 aprile è morto, nella grassa risata del piduista Berlusconi in Parlamento il 25 aprile è morto, nella distruzione dei nastri delle conversazioni tra Mancino e Napolitano il 25 aprile è morto, nella dittatura dei partiti il 25 aprile è morto, nell'informazione corrotta il 25 aprile è morto, nel tradimento della Costituzione il 25 aprile è morto, nell'inciucio tra il Pdl e il Pd il 25 aprile è morto”, ha scritto Beppe Grillo sul suo blog. “Oggi evitiamo di parlarne, di celebrarlo, restiamo in silenzio con il rispetto dovuto ai defunti. Se i partigiani tornassero tra noi si metterebbero a piangere” (La Repubblica, 25 aprile).

Questa volte il dissenso non si riferisce alla valutazione storica della Liberazione quanto alla situazione politica attuale, ma il 25 aprile continua come ogni anno a suscitare polemiche. La Resistenza, del resto, sembra non essere mai finita fino in fondo. “A una fase del mito ha fatto seguito la revisione. E dopo le certezze, i dubbi, prima in sottotraccia come un fiume carsico, sono usciti alla luce, esplosi nel dolore 'dei vinti'” (Famiglia Cristiana, 24 aprile).

Anche se il partigiano è sempre stato indicato come “'rosso', 'comunista', 'di sinistra'”, “in prima fila a combattere per la libertà e poi a lavorare per la ricostruzione dell’Italia e la nascita della Repubblica” c'è stata anche una Resistenza “bianca”, formata da cattolici e cattoliche che hanno dato un contributo non secondario alla lotta contro il nazifascismo e per lo sviluppo della vita democratica in Italia. 

Enrico Mattei, capo partigiano e poi presidente dell’Eni, al primo congresso della Democrazia cristiana, nel 1946, indicò in 65.000 – giunti a 80.000 nella fase finale della Resistenza – i cattolici che parteciparono attivamente alla lotta partigiana, impiegati in 180 brigate. Come li ha definiti Teresio Olivelli, medaglia d'oro al valor militare, sono stati dei “ribelli per amore”, capaci di opporsi al nazifascismo e alla sua ideologia con una ribellione che era innanzitutto morale e spirituale ma che è ad ogni modo costata a molti di loro il sacrificio estremo.

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