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La Chiesa sia una “spina nel fianco della mafia”

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©GIANCARLO GIULIANI/CPP

Aleteia - pubblicato il 22/04/13

Il Cortile dei Gentili, promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi, sbarca in Calabria

“La contiguità tra sacro e criminale è un fenomeno radicato da tempo. Forse la comunità ecclesiale non lo ha combattuto abbastanza”. La Chiesa deve quindi impegnarsi di più per essere una “spina nel fianco della mafia”.

Si è espresso in questo modo il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, portando il 20 aprile in Calabria il “Cortile dei Gentili”, la struttura vaticana per il dialogo con i non credenti. Dopo l'esperienza di Palermo, anche nella seconda tappa nel sud d'Italia del ciclo mondiale di incontri voluto dal dicastero vaticano, sul tema “Etica, religiosità e responsabilità”, sono emerse le discussioni sulla criminalità organizzata.

Per il porporato, che ha dialogato con i procuratori Giuseppe Pignatone, appena arrivato a Roma dopo l'esperienza a Reggio Calabria, e Michele Prestipino, aggiunto della Dda reggina, si riscontrano “situazioni cristallizzate nel tempo di una forma religiosa degradata”, “ma se si arriva al punto di pregare prima di andare ad ammazzare un'altra persona siamo nella degenerazione totale, nella blasfemia”. Come ha fatto papa Giovanni Paolo II in Sicilia, bisogna ricordare che “i mafiosi sono fuori dalla Chiesa nonostante usino tutti i simboli religiosi. La loro è pura idolatria, negazione di Dio” (La Repubblica, 20 aprile).

Non basta che la Chiesa annunci i principi, “si tratta di operare all'interno come spina nel fianco per far cadere la connessione tra incultura, religione e crimine. Serve un'opera di educazione e presenza già con i bambini e poi con le famiglie, che specie in Calabria diventano il vincolo di sangue, primo problema nella sfida alla criminalità”. Ci sono parroci che lo fanno, ha riconosciuto citando l'esempio di don Pino Puglisi a Palermo. “Fu messo a tacere e ora è stato riconosciuto il suo martirio, che apre le porte alla beatificazione. Chi lo ha ucciso è un persecutore della fede, anche se ha le statue della Madonna in casa”.


Le dichiarazioni generali, ha aggiunto il cardinal Ravasi, “ci sono”, “ora si deve lavorare sul tessuto quotidiano. Si deve coinvolgere la comunità in azioni concrete, a partire dalle purificazioni delle feste patronali e delle processioni” e dalla scuola, “per generare un modello antropologico”.


 Per il procuratore Pignatone, la criminalità organizzata mette in atto “un'enorme strumentalizzazione” del sentimento religioso (Ansa, 20 aprile). Se la posizione ufficiale della Chiesa è molto forte, è anche vero che alcune ricerche mostrano che “spesso la Chiesa ha considerato la mafia non un suo problema ma delle istituzioni statali, soprattutto di magistratura e polizia”. “Sicuramente l'apparato repressivo deve fare la sua parte per aprire spazi di libertà alla società civile, ma quegli spazi poi devono essere occupati. La prima cosa, in ogni caso, è prendere sempre le distanze dalla 'ndrangheta”.

Il procuratore Prestipino ha ricordato dal canto suo che in Sicilia e in Calabria sono stati arrestati molti capi mafia e “a nessuno mancava un'immagine sacra”. Nel covo di Provenzano, oltre alla Bibbia e a un libro di preghiere, sono stati trovati quadri con soggetti religiosi e ben 91 immagini sacre. “Interrogarsi sul perché ciò accada, a dispetto di ogni apparente logica, è importante perché permette di fare un passo avanti nella conoscenza e nel sapere sulle mafie”, indispensabile per un'efficace organizzazione di contrasto sul piano sociale, culturale e religioso, cominciando “dai gesti all'apparenza più piccoli”, come ha sottolineato Pignatone, perché “peggio dei singoli delitti è l’avvelenamento progressivo della società che ormai è assuefatta al male” (Vatican Insider, 22 aprile).

Nel fenomeno mafioso, ha commentato il cardinal Ravasi, la religione è “completamente priva di fede”, limitandosi a “partecipazione alla ritualità o aggregazione ad una determinata comunità per ragioni diverse”. In questo contesto, “il vero credente non dice soltanto ‘pregherò per i mafiosi perché si convertano’, ma deve mettersi a combattere, ad operare, a far sì che la sua fede diventi anche impegno etico e sociale. Il credente deve entrare nella società e combattere le strutture di peccato del mondo”.

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