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Don Tonino Bello e la “Chiesa del grembiule”

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Roberta Sciamplicotti - pubblicato il 22/04/13
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A vent’anni dalla morte del vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi
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Nella Messa crismale del Giovedì Santo, papa Francesco ha chiesto ai sacerdoti di essere “pastori con l’odore delle pecore”. Una definizione che si adatta perfettamente a don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e presidente di Pax Christi morto il 20 aprile di vent'anni fa profondamente immerso nelle gioie e nei problemi della sua gente.

Don Tonino è stato un “un pastore buono in mezzo al suo popolo, servendo anche nella sua malattia” (Agenzia Sir, 20 aprile). Una delle sue espressioni più note è “Chiesa del grembiule”, “che lascia, o tralascia, i segni del potere e sceglie il potere dei segni”, come ha ricordato il suo collaboratore in Pax Christi a Molfetta don Salvatore Leopizzi (Radio Vaticana, 20 aprile). “Stola e grembiule sono il dritto ed il rovescio dello stesso paramento sacro: la stola che ci fa ministri del Vangelo ed il grembiule che ci fa 'lavapiedi del mondo', lui usava questa parola”.

Oggi è a volte difficile trovare una Chiesa “che faccia del servizio e dell’annuncio di un Gesù spogliato di tutto la ragione unica della sua esistenza”. Come scriveva don Tonino, “le nostre Chiese, purtroppo, celebrano liturgie splendide, anche vere, ma – quando si tratta di rimboccarsi le maniche – c’è sempre un asciugatoio che manca, una brocca che è vuota d’acqua, un catino che non si trova” (Mosaico di pace, maggio 2013). Secondo lui, sarebbe stato bello che alla nomina episcopale, anziché donare anello, pastorale e Bibbia, venissero offerti al nuovo presule “una brocca, un catino e un asciugatoio”, “per lavare i piedi al mondo senza chiedere come contropartita che creda in Dio”.

Il grembiule, ha ricordato il vescovo Luigi Bettazzi, è stato del resto l’unico paramento della prima Messa (l’Ultima Cena). Una “Chiesa del grembiule” è dunque quella “che sa di essere quella che Gesù ha voluto nella misura in cui è una Chiesa che serve”. Don Tonino, ha aggiunto, “amava la Chiesa come la grande famiglia di Dio, dove ci deve essere anche chi autorevolmente ha la funzione di farla crescere e di guidarla, ma con l’atteggiamento del servizio” (Mosaico di pace, maggio 2013).

Don Tonino è sepolto nel cimitero di Alessano (Lecce). Intorno alla tomba ci sono alcune rocce con incise delle frasi significative: “Ama la gente, i poveri soprattutto. E Gesù Cristo”, “In piedi, costruttori di pace”, “Ascoltino gli ultimi e si rallegrino” (Famiglia Cristiana, 19 aprile). Nel 2008 si è aperta la sua causa di beatificazione. Postulatore è Agostino Superbo, arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, che ne ha lodato l'“esempio forte di fedeltà a Cristo e di amore per il Vangelo” e afferma che il nucleo spirituale della sua eredità risiede “nei gesti nascosti, in quelli meno conosciuti ai più, in particolare la sua vicinanza totale all’Eucaristia” (Avvenire, 19 aprile).

La fase diocesana della causa, avviata dall’attuale vescovo di Molfetta, monsignor Luigi Martella, si avvia alla conclusione. La documentazione dovrà poi essere inviata in Vaticano, ma don Tonino “per la gente santo lo è già”: “'fratello vescovo povero con i poveri', quello col pastorale e la croce di legno (di ulivo, però, simbolo della sua terra), quello con l’appartamento episcopale invaso dai senzatetto e dai migranti stranieri, quello che girava per le strade del porto e della vecchia Molfetta sedendosi accanto ai poveri e agli ubriaconi, quello che aveva la porta sempre aperta, anche alla prostituta che gli aveva bussato alle quattro di mattina affamata e fradicia di pioggia”.

“Tutto quello che sono lo devo a lui”, si sente ripetere da tante persone. Per monsignor Vito Angiuli, vescovo di Ugento, “la chiave di tutto il suo operato è mettere in pratica il Vangelo sine glossa e sine modo, cioè senza aggiunte o menomazioni. Ma anche senza confini e senza misura”. Per don Luigi Ciotti, don Tonino incarnava “la Chiesa della prossimità, dell'accoglienza”, e alla Chiesa ha lasciato “tantissimo”: “un’etica dell’umiltà e della spoliazione”, “la responsabilità dell’impegno, ma quella di viverlo con continuità, condivisione, corresponsabilità” (Vatican Insider, 21 aprile).

Uno dei più lucidi e profetici testimoni della Chiesa del nostro tempo, don Tonino è stato un cattolico che si è contraddistinto per la forza e la rivoluzione delle sue parole e delle sue azioni. “Ci lascia ancora oggi un grande vuoto, che sarà riempito nel momento in cui la causa di beatificazione avrà completato il suo iter. Un momento quello che sarà di festa non solo per la Chiesa, ma per tutti coloro che, anche laicamente, credono nei valori della pace e nell’attualità di questi” (L'Unità, 20 aprile).