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Turchia: la ricchezza delle minoranze cristiane

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Chiara Santomiero - pubblicato il 18/04/13

Una sfida tra la salvaguardia dell'identità nazionale e la tutela delle minoranze religiose

“Pace in casa, pace nel mondo” è una frase del fondatore del moderno stato turco, Mustafa Kemal Atatürk, ed è il titolo che i gesuiti de La Civiltà Cattolica hanno dato ad una conferenza, moderata da padre Luciano Larivera, sulle “risorse che la Turchia possiede e su cui investe per promuovere la pace, la sicurezza e il benessere al suo interno, nel Medio Oriente, nel Caucaso, nel Mediterraneo, in Europa, in Africa e nel mondo”. Tra le risorse anche quella delle minoranze cristiane, come ha spiegato ad Aleteia padre Alberto Fabio Ambrosio, vicario della provincia domenicana di Istanbul e docente presso la Facoltà di missiologia della Pontificia Università Gregoriana.

Le minoranze cristiane in Turchia – lei ha detto – presentano tre tipi di “ricchezza”: per prima una ricchezza di denominazioni.

Ambrosio: In Turchia ci sono 75 milioni di abitanti mentre i cristiani sono all’incirca centomila, dei quali ventimila cattolici. In questo piccolo numero sono presenti quasi tutte le denominazioni delle chiese cristiane, sia orientali che occidentali cioè latina cattolica e protestante. Delle Chiese orientali è presente quella armena, sia ortodossa (cioè gregoriana apostolica) che cattolica; la Chiesa siriaca (siro-ortodossa e siro-cattolica), la Chiesa greco-ortodossa e greco-cattolica, la Chiesa caldea la cui presenza è aumentata dall’arrivo dei profughi dall’Iraq. Questa compresenza di denominazioni cristiane costituisce una grande ricchezza dal punto di vista delle prospettive ecumeniche, con un impatto sempre più forte. Anche Benedetto XVI durante il suo viaggio in Turchia disse che il primo compito di tutte le Chiese che sono lì è la tensione all’ecumenismo. D’altra parte questo obiettivo non deve tramutarsi in fonte di scoraggiamento perché è vero che il cammino ecumenico ha tempi lunghi.

Non va dimenticata la ricchezza del profilo storico-archeologico.

Ambrosio: L’aspetto storico, archeologico e culturale è molto importante ma soprattutto, forse, considerato ad extra, in Occidente, mentre per i cristiani all’interno della Turchia è un po’ più difficile assumere questa ricchezza. Laddove i cristiani sono pochi spesso non ci sono le strutture necessarie per occuparsi anche di questi ambiti, per cui quando si voglia studiare o approfondire anche i cristiani d’oriente, quelli che diventeranno preti o vogliano specializzarsi in questo campo, devono andare in altri paesi. Dall’Occidente invece c’è sempre più interesse per questi luoghi: l’Anno paolino che fu proclamato da Benedetto XVI tra il 2008 e il 2009 fu un momento particolarmente propizio per sviluppare un turismo-pellegrinaggio verso i luoghi della predicazione di Paolo. Fu monsignor Padovese, vicario apostolico in Anatolia assassinato ad Iskenderun nel 2010, che lavorò molto perché l’Anno paolino fosse proclamato per tutta la Chiesa e fosse un momento di grazia sia per coloro che visitavano i luoghi ma anche per la comunità locale.

C’è, infine, un “valore giuridico” della presenza dei cristiani in Turchia.

Ambrosio: Ognuna di queste denominazioni, ha un percorso storico-giuridico talvolta assai complesso per cui il loro pieno riconoscimento sotto il profilo dei diritti diventa per la Turchia contemporanea un vero e proprio laboratorio su come riuscire a salvaguardare l’identità turca tutelando le minoranze religiose e culturali con la loro storia. Il senso della cittadinanza turca deve lasciare spazio alle identità plurali e questo è proprio l’apporto delle minoranze al processo di profonda riforma costituzionale che sta attraversando la Turchia. Va detto che la realtà storica è molto più complicata di quanto si possa immaginare e circa la tutela delle Chiese cristiane nel Paese vi sono responsabilità anche da parte dei governi europei come dimostra un dibattito che risale agli anni 30′ del secolo scorso. Tuttavia da molto tempo la Turchia si sta prodigando per cercare di arrivare a una soluzione di queste problematiche e spesso è proprio la ricchezza delle denominazioni ad essere di ostacolo per soluzioni condivise. Il che dimostra come la varietà delle denominazioni cristiane possa essere “croce” e ricchezza insieme. Non c’è un atteggiamento discriminante verso le minoranze come viene percepito a volte superficialmente: se questo può esserci stato a volte in passato, era diretto non tanto verso la religione cristiana quanto verso quelle che erano avvertite come minacce all’identità turca da parte di presenze straniere.

Si può dire che ci sia una nuova ricchezza costituita dalla presenza di cristiani immigrati in Turchia?

Ambrosio: Ci sono molti cristiani arrivati in Turchia per diversi motivi ed è un fenomeno che andrebbe studiato e valorizzato mentre oggi rappresentano un po’ “le minoranze delle minoranze”. Fino a qualche anno fa la lingua della Chiesa latina di Istanbul era il francese mentre oggi ci si rende conto che prende sempre più piede l’inglese in quanto i cristiani filippini e africani immigrati parlano prevalentemente inglese. Sono presenti, inoltre, numerosi “nuovi” stranieri francesi, italiani e tedeschi. Solo nella zona di Antalya ci sono varie centinaia di migliaia di cattolici tedeschi che si sono stabiliti lì dopo essere andati in pensione o che comunque vi passeranno un certo numero di anni. Nella dinamica della vita di fede di una comunità è un elemento importante che non si può lasciare in secondo piano e che potrebbe rinvigorire la vitalità della presenza cristiana in Turchia.

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