I compiti della Commissione degli 8 cardinali
Otto cardinali dei cinque continenti: sono questi i componenti della commissione istituita da Papa Francesco per aiutarlo nel governo della Chiesa. Quanto inciderà questa innovazione nella vita della Chiesa? Aleteia lo ha chiesto al prof. Andrea Grillo, ordinario di teologia sacramentaria presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e presso l'Istituto di liturgia pastorale dell'Abbazia di S. Giustina di Padova.
Qualcuno ha parlato di questa scelta del papa come di una “svolta epocale” della Chiesa: è così?
Grillo: E' una scelta che sicuramente dimostra la volontà del papa di incidere sulla struttura della Curia romana. La Commissione è uno strumento funzionale a un riassetto complessivo il cui obiettivo è il riequilibrio tra il primato di Pietro e il gruppo dei 12, rafforzando la collegialità con l'ascolto dei territori più lontani da Roma, sia per riformare la Chiesa ad intra che per un ascolto più attento degli uomini ad extra. Il rapporto tra il papa e i cardinali è solo una delle forme della collegialità che riguarda invece tutti i vescovi. La Commissione, per quel che si può capire ad oggi, ha il compito di pensare a una serie di interventi di riforma circa il modo in cui comunica la Santa Sede con la base, il modo in cui i vescovi sono consultati dal potere centrale.
Probabilmente andrà ad incidere sulla struttura del Sinodo, che adesso si riunisce ogni due anni e nel quale i vescovi del mondo hanno poco spazio per incidere essendo i contenuti già sostanzialmente determinati dalla Curia, rendendola una struttura con maggiore periodicità se non permanente e con un reale potere di consiglio. Si devono attendere quindi passaggi ancora più significativi dal lavoro di questa Commissione, che si potranno avere – cominciando gli incontri ad ottobre – almeno tra 1 anno o più. Se non bisogna caricare di eccessivi significati la Commissione, nemmeno bisogna svalutarla riducendola a un marchingegno giuridico per distribuire i pesi del governo nella Chiesa: questo è vero, ma la riforma è nel modo in cui la Chiesa si presenta. Scegliere cardinali di tutti i continenti è aprirsi alle logiche della periferia, smettere di pensare che la Chiesa sia eurocentrica, insistere molto perché si apra all'esterno.
Certo c'è bisogno di un centro unificatore, ma l'unità non è uniformità né uniformazione. Questa è una tentazione nella Chiesa e anche il grande equivoco dell'età moderna: guardare a se stessa come a un blocco unico. Il papa è al servizio dell'unità nella diversità: l'uniformità avvilisce la Chiesa, la chiude e la deprime. I cardinali hanno avuto coraggio di eleggere qualcuno che fin dall'inizio ha detto questo: la Chiesa non deve essere autoreferenziale ma porsi al servizio dell'altro che è Cristo visto nei più poveri. I gesti di Francesco dall'inizio del pontificato che hanno tanto colpito per la loro novità devono diventare uno stile ecclesiale complessivo che deve necessariamente passare per una riforma istituzionale. Si tratta di un passaggio necessario e molto delicato.
Il comunicato stampa con il quale è stata annunciata la decisione di Francesco ha sottolineato che il papa ha recepito un suggerimento delle Congregazioni generali prima del Conclave: si può dire che esista una spinta ad una più decisa collegialità da parte di tutta la Chiesa?
Grillo: Attraverso il comunicato della Segreteria di Stato si può leggere una scelta che in qualche modo precede il papa ma che ha trovato un consenso nei suoi interventi prima del Conclave, tanto da portare poi alla sua elezione. Si tratta di una svolta che provocherà anche qualche “mal di pancia” perché cambia il modo di confrontarsi con l'autorità strutturato da secoli di abitudini. Ma in una Chiesa ricca di culture diverse il dibattito è positivo. Per la prima volta viene tradotta concretamente l'intuizione del Concilio che aveva acceso un entusiasmo poi come intiepidito con il trascorrere degli anni. C'è un nuovo passaggio dello Spirito che l'anniversario conciliare dei 50 anni sembra riproporre: da quando l'11 ottobre dello scorso anno abbiamo celebrato l'apertura del Concilio, sono cambiate tante cose e magari non è un caso. Riprendendo in mano i testi conciliari ci si è resi conto che svolte che sembravano impossibili se non nel passaggio di secoli invece erano a portata di mano. E' un processo che impegnerà la Chiesa nei prossimi anni perché per entrare in circolo occorrerà del tempo, proprio perché non sono in gioco solo gli equilibri romani.
Dibattito o lacerazione?
Grillo: La Chiesa è pronta al dibattito solo se rinuncia a forme vecchie di appartenenza. É un processo che riguarda tutti, vescovi, preti e laici. Tutti devono lasciare abiti comodi ma ormai lisi, stili di partecipazione per i quali si dicono formalmente dei “sì”, ma poi il dissenso viene mormorato sottovoce. Lo stile del dibattito è un confronto portato avanti nella verità. Il Concilio ne ha posto le premesse, adesso dobbiamo tirarne le conseguenze. Sono fiducioso che la parte preponderante della Chiesa ne sia capace, accettando la necessità invocata da più parti di una “conversione pastorale” come criteri per interpretare anche la nuova evangelizzazione. Non si può evangelizzare se non si esce da se stessi e da vecchi schemi: la novità dei gesti di Francesco è un modo – non l'unico, certo – di dirlo. Il modo in cui la Chiesa ha vissuto il passaggio non facile dalla rinuncia di Benedetto XVI all'elezione del nuovo papa e il modo in cui ne è uscita è sorprendente e dice qualcosa di più su questa istituzione rispetto a quanto essa stessa crede di sé o si può cogliere comunemente. Guardando Francesco affacciarsi dalla Loggia delle benedizioni mi è venuto da pensare al film di Moretti “Habemus papam” e credo che stavolta la realtà abbia superato la fantasia e regalato un finale che il regista non avrebbe mai potuto immaginare.
Perché Francesco, fin dall'inizio del pontificato, ha sottolineato più l'elezione a vescovo di Roma che a pontefice?
Grillo: Francesco ha accettato di fare il papa a condizione di essere vescovo di Roma per svolgere un ministero di unità a partire da questa funzione. Da subito ha recuperato un rapporto con il suo popolo attraverso un gesto univoco ed esemplare come quello di farsi benedire, uscendo dallo stereotipo che impone al papa una identità al di fuori di questo rapporto. Un gesto simbolico fondamentale che sottolinea come questo papato per essere all'altezza inverte la direzione: non parte dal generale ma dal particolare, non dai valori ma dai volti. Infatti Francesco parla sempre attraverso casi concreti, affronta i temi di fede attraverso la vita delle persone. Ponendosi come vescovo di Roma, egli recupera il servizio alla collegialità di pontefice. Questo sul piano del dialogo ecumenico, del dialogo interreligioso, dei temi etici afferma una strategia che è arrivare al divino attraverso il pienamente umano: il primato del volto per arrivare al valore. Nei suoi scritti si trova che la lotta al relativismo non deve creare emarginazione perché ognuno si senta accolto. L'importanza del valore non può essere a scapito dell'incontro: un programma che finora ha interpretato in modo “impeccabile” ma che deve diventare stile di tutta la Chiesa.