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Fernando de Haro: siamo seri quando parliamo di “persecuzione”

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Aleteia - pubblicato il 10/04/13

I cristiani sono scomodi perché non seguono la logica del potere

“Cristianos y leones”, un volume fresco di stampa della casa editrice spagnola Planeta dedicato alla persecuzione dei battezzati in tutto il mondo, riporta il tremendo resoconto della persecuzione che provoca 100.000 morti all’anno.

L’autore, Fernando de Haro, ha spiegato ad Aleteia il motivo di questa persecuzione ed ha analizzato la situazione dei cristiani in Medio Oriente, Africa, Cina, India o Corea del Nord, dove in questo momento “ci sono 40.000 cristiani internati nei kwanliso”.



Ogni anno muoiono 100. 000 cristiani. Perché?

Fernando de Haro: Le cause di questa grande persecuzione sono assai varie, è difficile citarne una sola. Per poter rispondere bisogna considerare la complessità del momento che vive il pianeta. Facciamo il caso dell’Iraq, dove fino alla fine della seconda Guerra del Golfo viveva una delle minoranze di battezzati più consistenti del Vicino Oriente. Ho avuto occasione di conoscerla quando ho realizzato una serie di reportages a Baghdad negli anni Novanta. Vivevano tranquillamente. Ora l’esodo è massiccio e la presenza cristiana in quelle zone potrebbe scomparire. I cristiani sono perseguitati perché sono scomodi sia per gli sciiti che per i sunniti che lottano per realizzare un progetto egemonico. I battezzati sono le vittime dello scontro tra Iran e Arabia Saudita, una cosa che accade in molti Paesi a maggioranza islamica. La persecuzione in Iraq non avrebbe però le dimensioni che ha se l’Occidente non avesse iniziato la guerra nel 2003. Alla lotta di potere tra le due correnti più seguite di un certo islamismo politico bisogna aggiungere gli errori degli Stati Uniti, e in parte dell’Europa, che in nome di valori astratti hanno sacrificato una minoranza che era fondamentale per la pace.

Se parliamo dell’India, Paese in questo momento decisivo per il futuro del mondo, bisogna fare riferimento al nazionalismo induista e alla sua lotta con l’islam. Se ci soffermiamo sulla Cina, la grande potenza asiatica che disputa la leadership agli Stati Uniti, va esaminato il capitalismo di Stato del regime comunista che non può tollerare certe libertà. I fenomeni sono vari, ma ci sono due tratti in comune: la persecuzione più violenta avviene in genere dove è in atto un processo di cambiamento importante, dove c’è scontro di poteri o dove un potere vuole imporre il proprio progetto; e in questa situazione i cristiani, com’è avvenuto nel I secolo, sono in genere scomodi, perché non seguono la logica che vuole imporre il potere. Ciò che è sorprendente, ed è quello che ho voluto mostrare nel libro, è che in queste circostanze così difficili emerge la testimonianza di vite splendide che non vogliono rinunciare alla gioia di essere cristiane. Mi piacerebbe che al lettore restasse la sorpresa piena di positività di queste vite, che ha affascinato me per primo.


In Occidente si ha a volte la sensazione che ai mezzi di comunicazione non interessino le persecuzioni dei cristiani. Si parla di mancanza di libertà ma non della libertà religiosa. Esiste libertà religiosa nel mondo?


Fernando de Haro: Rispondere a questa domanda è difficile perché le situazioni sono molto diverse. Nel libro non mi sono occupato della libertà religiosa in generale, ma della libertà dei cristiani, della Chiesa o delle chiese, e sono due cose diverse. Vorrei però cercare di rispondere alla domanda. La negazione della libertà religiosa è diventata una norma nel sud dell’Asia, nel Vicino Oriente e nel Nordafrica. Nel ranking dei Paesi con meno libertà religiosa, la Cina è ai primi posti. C’è un primo livello di persecuzione, quello di quanti rischiano la vita, di quelli che devono scegliere tra essere fedeli al battesimo o vedersi privati dei diritti civili fondamentali o perfino della vita. E si trovano in questa situazione zone importanti del pianeta: è il caso della Cina, della Corea del Nord, di alcune zone della penisola arabica, di certe regioni dell’Africa (Sahel, Niger…) e di alcuni paesi del Vicino Oriente.

C’è un secondo livello di restrizione alla libertà della Chiesa. In questo caso la libertà è intesa come un diritto privato o intimo, e non è tutelata la dimensione sociale e pubblica che comporta l’essere cristiani. Ciò accade in molti Paesi a maggioranza islamica, in qualcuno dei regimi comunisti ancora in vigore e in certe zone dell’America Latina. L’aspetto preoccupante è che questo si diffonda in Europa quando si proibisce, ad esempio, di esibire simboli cristiani. Da questo punto di vista, ricordiamo l’ultima sentenza del Tribunale di Strasburgo che impedisce a un’infermiera di portare un crocifisso al collo.

C’è poi un terzo livello, che è una restrizione culturale, quel potere di cui parlava Pasolini: un potere sulla coscienza che vuole ridurre il cristianesimo a valori, a etica. È ciò che prevale in Occidente, dove in genere non ci si preoccupa della persecuzione dei cristiani perché la questione non rientra negli schemi ideologici abituali: non è tema di sinistra o di destra. Non porta voti, non procura denaro. Non ha a che vedere con i cambiamenti climatici né con il genere, ma non è nemmeno classificabile come un prodotto dello “scontro di civiltà” che tanto piace o piaceva ad alcuni oratori.


Sono molti i Paesi in cui lei mostra che “i cristiani sono al centro della storia”. Nel Vicino Oriente, ad esempio, ci sono sempre meno cristiani…


Fernando de Haro: Il caso del Vicino Oriente è drammatico. Bernard Levy, un agnostico, ha scritto al riguardo che “quando il mondo arabo ha deciso di prescindere dagli ebrei e dalla loro memoria, è stato commesso un errore irreparabile. Se ora viene privato dei suoi cristiani, se si fanno subire alle ultime comunità cattoliche capaci di pregare nella lingua di Cristo ciò che si è fatto subire ai discendenti delle tribù di Israele, sarà non solo per lui, ma per tutto il mondo, una nuova perdita totale, una nuova rovina spirituale e morale, un nuovo disastro a livello culturale e di civiltà”.

Qual è il disastro morale? Ce ne sono vari. Il primo è che la scomparsa dei cristiani nel Vicino Oriente rappresenta un attentato alla fede, perché, come ci hanno insegnato gli ultimi tre papi, il cristianesimo non è una dottrina né una morale, ma un evento che è iniziato in un determinato momento della storia e che è stato presente fin da allora. Senza continuità nei luoghi in cui è apparsa la fede, è facile che finisca per diventare un sistema di idee o un sistema etico. C’è poi un disastro per la convivenza, perché le minoranze di cristiani egizi o caldei, per non parlare di quella libanese, sono state fondamentali perché non avanzasse la restrizione delle libertà.

In Europa abbiamo un problema nel comprendere questo fenomeno, perché spesso adottiamo uno schema neoconservatore che demonizza l’islam. Il problema non è l’islam, ma l’islamismo. C’è un islam del popolo che è realmente religioso. Bisogna ascoltare di più le Chiese orientali e meno quanti predicano lo scontro di civiltà. “C’è un doppio errore – spiegava Guitton –. Visto che si pensa che il cristianesimo sia maggioritario in Occidente, si conclude che non può aspirare ad essere minoritario in Oriente. E così si tende a trasformare i cristiani orientali in protetti degli occidentali, il che li espone a maggiori pericoli”.



In Africa le persecuzioni provengono dall’islam radicale. Lo stiamo vedendo in queste settimane con il vescovo di Bangassou, nella Repubblica Centroafricana, monsignor Juan José Aguirre. Sa che può morire in qualsiasi momento. Non è scosso nel raccontare queste storie?


Fernando de Haro: È così. Queste pagine sono piene di nomi, di uomini e donne che subiscono attentati, che devono abbandonare le proprie case, che sanno che moriranno. Sono fedeli, sono pacifici. Sono, in molti casi, privi di solennità, ma sono grandi e fanno riconoscere come grande anche te. È sorprendente che in pochissimi casi abbiano risposto con la violenza. Confesso che inserirmi nella loro vita, ricrearla, mi ha commosso molte volte. Scrivendo devi immedesimarti, cercare di indovinare o immaginare cos’è passato per la testa a qualcuno che è in un campo di concentramento o sul punto di morire. Non mi vergogno a confessarlo, molte volte mi sono commosso fino alle lacrime. Ma ora papa Francesco ha detto che è un bene, no?


In America Latina ci sono le sette, i membri delle bande, la guerriglia o i contrabbandieri. Perché un cristiano dà tanto fastidio?


Fernando de Haro: La questione relativa all’America Latina è appassionante e molto dolorosa. Mi piacerebbe compiere un’indagine più approfondita. Ho avuto l’occasione di conoscere personalmente, registrando un documentario a Caracas, cosa significhi la pressione del chavismo. Ho vissuto la questione da vicino anche in Bolivia, dove l’indigenismo esercita una pressione insostenibile. Vorrei recarmi in alcuni luoghi, trascorrere del tempo ascoltando e vedendo cosa accade in certe zone del Messico, ma per far questo servirebbe qualche sponsor generoso. Sarebbe un buon tema per un nuovo lavoro.

L’America Latina è figlia del cattolicesimo e di altre tradizioni come quella liberale, ma ciò non impedisce che il cattolicesimo, vigoroso come in pochi luoghi del pianeta, sia minacciato. Subisce la minaccia di un laicismo proprio del XIX secolo che continua ad essere assai vivo, minaccia alla quale bisogna aggiungere quella dei nuovi populismi. L’indigenismo ideologico, quello da salotto, non è quello degli indios nelle foreste del Perù, vuole limitare il cristianesimo perché questo afferma che non tutte le culture sono uguali. Il cattolicesimo, che è sempre alleato della ragione, afferma che una cultura deve essere sottoposta a criteri di giudizio universali e che la sua vocazione è aprirsi dal particolare al mondo. E questo l’indigenismo non lo sopporta, perché è pre-illuminista. Le sette sono un altro problema e pongono una sfida interessante al cattolicesimo. Il cristianesimo, per essere autentico, deve essere sottoposto a prove, deve dimostrare che serve per vivere il presente. Se la gente non vede utilità esistenziale nel cattolicesimo lo abbandona. È logico. Non bisogna aver paura della libertà.


Quanto alla Corea del Nord, di cui in questi giorni purtroppo si parla tanto, ci sono cristiani? Come vivono?


Fernando de Haro: La Corea del Nord è uno dei Paesi del mondo in cui la persecuzione è più cruenta. Le informazioni non sono chiare. Si stima che ci siano 40.000 cristiani internati nei “kwanliso”, campi di concentramento in cui muore un internato su quattro. Malattie come polmonite e tubercolosi sono molto diffuse, ma non ci sono cure mediche per i prigionieri, costretti a lavorare anche se malati e, se non sono in grado di lavorare, inviati nei sanatori ad aspettare la morte. Sono frequenti anche le torture, violazioni varie ed esecuzioni extragiudiziarie. Per poter celebrare la Messa, i cristiani del Paese devono nascondersi in “chiese domestiche”. La Corea del Nord non è uno scherzo, è un luogo di terrore in cui sono stati rilevati molti casi di cannibalismo, come in Ucraina all’epoca di Stalin.



Un’ultima domanda. Sarà perseguitato per aver scritto questo libro?


Fernando de Haro: Non credo. Bisogna essere molto seri quando si usa la parola “persecuzione”. A volte viene utilizzata in modo frivolo per dissimulare la difficoltà di un certo cristianesimo di apparire alla luce del giorno, in una società plurale, esprimendo in modo comprensibile e amichevole l’esperienza da cui nasce. A volte in Spagna usiamo la parola “persecuzione” in modo superficiale, per non ammettere che non siamo stati capaci di sfidare la libertà degli altri, per non accettare che ciò che diciamo è incomprensibile per chi non sa nulla della fede. O, cosa peggiore, perché in fondo sogniamo un cristianesimo egemonico e vediamo frustrate le nostre utopie. Dobbiamo imparare molto da quanti sono realmente perseguitati.

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