Respinto il ricorso, l’India continuerà a produrre il farmaco genericoLa Corte suprema indiana ha bocciato l’appello della multinazionale svizzera Novartis, che chiedeva l’introduzione di una nuova versione dell’anti-tumorale Glivec, già “copiato” dalle aziende indiane, che non avrebbero così potuto proseguire a produrlo come farmaco “generico”.
Il verdetto è giunto al termine di una battaglia legale di sette anni ingaggiata dal colosso farmaceutico per ottenere il rispetto delle leggi sulla proprietà intellettuale. La Corte suprema ha però affermato che il nuovo farmaco “non corrisponde a criteri di novità, perché utilizza una molecola già nota che non rientra nei parametri stabiliti per le invenzioni” (Radio Vaticana, 1° aprile). Si tratterebbe di quello che gli addetti ai lavori chiamano “evergreening”, una pratica usata dalle grosse multinazionali per rinverdire un vecchio prodotto e rimetterlo sul mercato con un nuovo brevetto (Avvenire, 2 aprile).
La sentenza è stata accolta con entusiasmo da quanti vedono nello strapotere di “Big Pharma” (le multinazionali del farmaco) un limite per l’accesso a cure necessarie da parte di molti abitanti del Sud del mondo. “Una vittoria, insomma del 'Davide' indiano, che si conferma come 'la farmacia dei poveri' del pianeta, sulla rete dei colossi mondiali del farmaco”.
Per Ranjit Shahani, vice-presidente e direttore di Novartis India Limited, la sentenza rappresenta invece “una battuta d’arresto per i pazienti” e “ostacolerà i progressi medici nelle patologie per le quali non sono ancora disponibili opzioni terapeutiche efficaci”; “sottolineatura non priva di concretezza, dato che l’elaborazione di un farmaco originale arriva a costare alle aziende da 150 a 800 milioni di dollari”, investimenti che si scontrano da un lato con la crescente capacità produttiva di aziende locali in Paesi emergenti, dall’altro “con il crescente utilizzo di farmaci generici che sono in parte disponibili al di fuori del sistema dei brevetti internazionali, in parte utilizzano brevetti già scaduti e non più utilizzabili in via esclusiva”.
La Novartis ha inoltre ricordato che la sua terapia è gratuita per il 95% dei pazienti indiani nell’ambito di iniziative benefiche (La Stampa, 1° aprile).
Per le associazioni indiane, che da anni si battono per l’accesso ai farmaci salvavita, il verdetto è invece un grande successo. Un mese di trattamento con il Glivec costa circa 2.600 dollari, mentre la “copia” indiana è venduta a 175 dollari. L’enorme differenza va a vantaggio dei malati di tutto il mondo dato che l’India, insieme al Brasile, è uno dei maggiori esportatori di farmaci generici (La Stampa, 1° aprile).
Il 5 marzo l'India aveva respinto un altro ricorso, avanzato dalla società farmaceutica Bayer sempre contro una versione low cost di un farmaco anticancro. L’industria tedesca si era rivolta alla Commissione di appello per la proprietà intellettuale (Ipab) per chiedere l’annullamento della decisione di cedere all’indiana Natco Pharma un brevetto per produrre a basso costo il Nexavar, usato per curare il tumore al fegato e ai reni. Per 120 compresse, la scorta per un mese, la Bayer vendeva il medicinale a circa 5.600 dollari, mentre il prezzo del generico indiano è di 175 dollari (Il fatto Quotidiano, 1° aprile). Il 3 novembre 2012 l’India ha poi revocato il brevetto di un costoso medicinale contro l'epatite C prodotto dalla svizzera Roche, rompendo di fatto il monopolio detenuto dalla società. La cura di sei mesi costa oltre 8.700 dollari, cifra enorme per larga parte dei malati cronici di epatite, in maggioranza tossicodipendenti.
In India più del 90% dei medicinali è generico, cioè “copiato” da prodotti che sono frutto di anni di ricerca delle aziende occidentali. Il Paese ha in questo settore un giro d'affari stimato in 12 miliardi di dollari, ma anche una legislazione in materia di proprietà intellettuale che si presta a molte interpretazioni. La situazione sta portando grandi aziende a cooperare per produrre farmaci sempre più complessi e difficili da imitare, i cui generici “biosimilari” hanno maggiori difficoltà ad essere accettati dalle varie agenzie del farmaco.