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La Chiesa in carcere, una luce tra le difficoltà

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Roberta Sciamplicotti - pubblicato il 29/03/13

La pastorale carceraria si batte per la riabilitazione dei detenuti

Il fatto che papa Francesco abbia voluto celebrare il Giovedì Santo nel carcere minorile romano di Casal del Marmo ha gettato nuova luce sulla situazione carceraria e sull’azione che la Chiesa svolge negli istituti di reclusione.

La visita ai carcerati è una delle sette opere di carità corporale presenti nella storia della Chiesa sin dalle origini. Gesù stesso, del resto, ha detto: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, (…) ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 34-36).

L’attività a favore dei carcerati si diffuse soprattutto dal Concilio di Trento, nel XVI secolo. Alla Chiesa spetta poi il merito di una svolta epocale nella storia della carcerazione, con la costruzione, nel 1650, in via Giulia a Roma, del primo penitenziario moderno, le cosiddette “carceri Nuove”. Dopo le prigioni medievali e rinascimentali, luoghi improvvisati, bui e privi di ogni igiene, ricavati nelle torri, nelle segrete di un castello o nei sotterranei umidi di un palazzo, papa Innocenzo X volle promuovere la costruzione di un luogo più mite e sicuro, completo di servizi e celle suddivise fra tipi di prigionieri per sesso, età, pericolosità e tipi di reati commessi (Tempi, 28 marzo).

Oggi la situazione delle carceri italiane è spesso grave, con condizioni di sovraffollamento e di mancato rispetto dei diritti umani, al punto che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affermato che su questo tema “è in gioco l’onore dell’Italia” e che l’Italia ha una “perdurante incapacità” a realizzare un sistema rispettoso dell’articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena (Famiglia Cristiana, 6 febbraio).

In questo contesto, la Chiesa agisce attraverso la pastorale carceraria per cercare di dare un volto più umano agli istituti di reclusione, anche per dare una risposta alla domanda posta da Benedetto XVI visitando il carcere minorile di Casal del Marmo nel 2007: “Come si può essere felici quando si soffre, quando si è privi della libertà, quando ci si sente abbandonati?”. In questa struttura, ad esempio, la Caritas diocesana promuove attività di formazione professionale con laboratori di falegnameria, tappezzeria e pizzeria per i ragazzi, di sartoria per le ragazze (Famiglia Cristiana, 28 marzo).

Nel corso del suo ministero, papa Ratzinger ha sottolineato la necessità di impegnarsi per una “effettiva rieducazione della persona, richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del suo reinserimento sociale”. L’esigenza personale del detenuto di vivere nel carcere un tempo di riabilitazione e di maturazione, infatti, è esigenza della società, “sia per recuperare una persona che possa validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziarne la tendenza a delinquere e la pericolosità sociale”. La funzione rieducativa della pena deve essere dunque considerata non “un aspetto accessorio e secondario del sistema penale”, ma “momento culminante e qualificante”, altrimenti la giustizia non è realizzata in senso integrale.

Papa Francesco aveva già celebrato il Giovedì Santo in un carcere, quello di Villa Devoto nel 1999. Vi è tornato nel 2007, e ancora oggi risponde ad alcuni detenuti che gli scrivono. “Sono figli di Dio e li invito ad esserlo per sempre”, ha affermato
 (Tempi, 28 marzo).

In Italia i cappellani che fanno assistenza religiosa negli istituti di pena sono 230. Nell’ultimo Congresso della Commissione cattolica internazionale dei cappellani di prigione, il Presidente Napolitano ha lodato il ruolo dei sacerdoti affermando che “da luogo di sofferenza, il carcere può divenire luogo di speranza quando l’espiazione della pena avviene nel rispetto della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo, favorendo l’evoluzione delle coscienze e permettendo di recuperare alla società civile coloro che hanno sbagliato” (Vatican Insider, 16 novembre 2012).

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