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La felicità consiste nell’attività razionale?

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Daniel McInerny - pubblicato il 19/03/13

Chiedete a chiunque cosa desidera di più nella vita, e la risposta sarà inevitabilmente “la felicità”. Ma cos'è realmente?

“Che cercate?”. Cristo lo chiede ad Andrea e all'altro apostolo che lo segue dopo che è stato indicato come l'Agnello di Dio da Giovanni il Battista (cfr. Gv 1,35-42). Seguendo Cristo, Andrea e il suo amico cercavano la stessa cosa che cerchiamo tutti: la realizzazione totale e la gioia eterna. Chi non le desidera, all'inizio di uno stancante tran tran quotidiano o alla fine di una lunga giornata, chiedendosi: “Tutto qui? È a questo che si riduce la mia vita?”. Il cuore umano persevera nel chiedere sempre “di più”. Ma più di cosa? Cosa cerchiamo esattamente quando cerchiamo la felicità, ed è davvero possibile raggiungerla? Come spiriti incarnati soggetti al peccato di Adamo, noi esseri umani tendiamo a cercare la felicità tra le cose materiali: ricchezza, piacere fisico, onore o riconoscimento, fama o prestigio, e la salute necessaria per prolungare il nostro godimento di queste cose. Nei nostri momenti migliori capiamo che cose come l'amicizia, la giustizia e la conoscenza sono ancora più preziose, ma ciò che non comprendiamo facilmente è che nessuna di queste cose può donare la gioia eterna alla quale aneliamo. Aspiriamo ad “amore e verità”, come ha ricordato il papa emerito Benedetto XVI, e tuttavia nulla sulla terra può rispondere pienamente al nostro bisogno di queste cose, neanche i nostri amici più cari. Una felicità meramente umana, pur garantendo le sue molte consolazioni, ci lascerà sempre insoddisfatti. Ciò su cui la Chiesa ci invita a riflettere è che non troveremo la felicità che stiamo cercando finché non chiederemo al Signore “Dove abiti?” e lo seguiremo verso un Amore e una Verità infiniti come l'anelito del cuore umano.

Non c'è domanda più importante che un essere umano possa porre che “Cos'è la felicità? In cosa troverò la mia realizzazione?”. Nelle nostre giornate non siamo sempre concentrati direttamente su questa domanda, tuttavia è sempre lì, che ondeggia nella mente. “Questa attività o questo compito mi aiuterà a realizzare il mio desiderio per x? E x stesso mi soddisferà nel modo che desidero?”. Sembra che non riusciamo a sfuggire al desiderio di una soddisfazione sempre maggiore, e perfetta.

Fin dall'antichità, i filosofi e i teologi hanno cercato una risposta alla domanda della felicità. Alla fine è emersa una serie di “candidati” possibili, una lista che resta importante per noi oggi. La ricchezza è uno degli elementi elencati nella lista, insieme al piacere fisico, all'onore (il riconoscimento pubblico della nostra eccellenza), alla fama (la reputazione di cui gode il nostro nome) e a candidati meno gettonati come la virtù e la contemplazione.

Consideriamo i primi elementi della lista: ricchezza, piacere fisico, onore e fama. Non c'è dubbio sul fatto che questi elementi siano ciò che molti esseri umani perseguono per buona parte del loro tempo. La felicità potrebbe essere una vita organizzata intorno al perseguimento di uno, o di alcuni, di questi beni? Si badi che li ho definiti “beni” – ricchezza, piacere fisico, onore e fama non sono mali. Sono beni nella misura in cui c'è qualcosa di realmente attraente in loro, qualcosa che ci soddisfa davvero in qualche misura. La nostra domanda, dunque, non è se questi “candidati” alla felicità siano buoni o no; riguarda il fatto che uno o più di questi candidati siano il nostro bene ultimo, il bene che ci porterà una soddisfazione totale e una gioia eterna.

Circa quest'ultima domanda, la risposta dei filosofi e dei teologi è stata negativa. La ricchezza è solo questo: uno strumento, un mezzo per un fine ulteriore. E qualsiasi altra cosa sia la felicità, non può essere un mero mezzo per qualche altra cosa; deve essere qualcosa di definitivo. Il piacere fisico è un bene ovvio, ma come sottolinea Aristotele può essere goduto anche dagli animali di razza inferiore. Non stiamo cercando qualcosa che condividiamo con altre creature; stiamo cercando la felicità umana, la realizzazione della nostra natura distintiva. L'onore e la fama sono sempre attraenti per il cuore umano, soprattutto per gli uomini, ma pensiamo a una cosa: l'onore e la fama non sono beni che diamo a noi stessi, ci sono concessi da altri. Che c'è di sbagliato in questo? Nulla, tranne il fatto che se la nostra felicità dipende essenzialmente da ciò che la gente fa per noi non sembra essere nostra. Spesso cadiamo nell'errore di pensare che la felicità dipenda da ciò che qualche altra persona pensa di noi o fa per noi. Riflettendo, però, sarebbe strano se la nostra soddisfazione più profonda fosse così vulnerabile, se non fosse qualcosa che noi portiamo in essere.

Una risposta sta iniziando a diventare chiara: cercando la felicità, stiamo cercando un bene che non sia un semplice mezzo; un bene che ci distingua come esseri umani; un bene che in qualche modo abbia origine in noi. Potrebbe essere benissimo che la ricchezza, il piacere fisico, l'onore e la fama siano parte di una vita felice, ma sembra che nessuno di loro, e nemmeno la loro combinazione, possa essere il principio organizzatore della vita felice. Cosa può essere allora la felicità?

Torniamo a quello che stavamo dicendo sul piacere fisico. Se questo non è l'attività distintiva degli esseri umani, allora cosa lo è? Per tradizione, gli esseri umani sono stati definiti come animali razionali. L'attività della ragione deve allora essere in qualche modo centrale per la felicità, soprattutto quando consideriamo che l'attività razionale può anche avere origine in noi.

Siamo ora vicini alla famosa definizione di felicità di Aristotele, adottata dall'insegnamento morale della Chiesa cattolica: la felicità è un'attività dell'anima in accordo con la ragione. Aristotele afferma anche che la felicità è l'attività razionale eseguita in modo eccellente. Perché noi non definiamo l'attività caratteristica di qualcosa in base a ciò che è abbastanza buono. Gli esseri umani, come i computer e le canne da pesca, sono definiti in base alla loro massima capacità.

Finora la nostra risposta alla domanda sulla felicità può sembrare piuttosto fredda: la felicità è l'attività razionale eccellente. Ciò vuol dire che diventiamo felici compiendo equazioni quadratiche in algebra o imparando come riconoscere errori nella logica? Dovremmo considerare accuratamente il fatto che l'“attività razionale” è una definizione generale per tutta una serie di attività diverse. L'attività razionale eccellente, infatti, è solo un altro modo di parlare della virtù, e ci sono molti tipi diversi di virtù, ciascuno dei quali mostra un aspetto diverso dell'eccellenza della nostra natura razionale.

L'esercizio della ragione nell'azione virtuosa è alla fin fine ciò che si intende parlando di felicità. Di conseguenza, nel prosieguo di questa domanda, chiariremo meglio cosa significa agire in modo virtuoso, e come l'attività virtuosa si riferisca in definitiva a Dio.

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