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Il digiuno nella riflessione teologica

padre Angelo Bellon, o.p. - pubblicato il 04/03/13

L'astinenza predispone alla contemplazione delle realtà più sublimi
1. Il digiuno è un atto particolare della virtù dell’astinenza e secondo S. Tommaso viene praticato principalmente per tre motivi:  primo, per reprimere le concupiscenze o passioni disordinate, che in tal modo vengono snervate. S. Girolamo scrive che “senza Cerere e Bacco, Venere si raffredda” (Contra Jovin., 2), vale a dire che con l’astinenza nel mangiare (Cerere) e nel bere (Bacco), la lussuria (Venere) si smorza. Secondo, per disporre l’anima a contemplare le realtà più sublimi e come a dire che si ha più fame di queste che di quelle materiali. Tale è il significato delle tre settimane di digiuno di Daniele, al termine delle quali ricevette la rivelazione (Dan 10,3). Terzo, in riparazione dei peccati. La conversione non è semplicemente un fatto interiore, ma impegna tutto l’uomo, compresa la corporeità. Si legge in Gioele 2,12: “Convertitevi a me di tutto cuore, nel digiuno, nel pianto e nel lamento” (Cfr. Somma teologica, II-II, 147,1).
2. Il prefazio IV della Quaresima esprime queste finalità con le seguenti parole: “Con il digiuno quaresimale, Tu vinci le nostre passioni, elevi lo spirito, infondi la forza e doni il premio”. Nella medesima linea S. Agostino dice che “il digiuno purifica l’anima, eleva la mente, sottomette la carne allo spirito, rende il cuore contrito e umiliato, dissipa le nebbie della concupiscenza; smorza gli ardori della libidine e accende la luce della castità” (De orat. et jeiun., serm. 73).
3. L’atteggiamento interiore del digiuno, secondo S. Tommaso, è la “serenità dell’anima”, “la gioia interiore” (la hilaritas mentis”). Va compiuto con un grande amore per il Signore e per la Chiesa. Se non venisse fatto così sarebbe solo una costrizione e una privazione. E siccome quando si dona si è contenti, il digiuno cristiano è caratterizzato da una certa gioia o serenità interiore. Per questo il Signore ha detto: “E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto” (Mt 6,16).
4. Come si è già ricordato, il digiuno è un atto della virtù dell’astinenza. Perché sia un atto virtuoso si richiede che sia fatto ragionevolmente. Scrive S. Tommaso: “La retta ragione non ridurrà mai il vitto al punto da compromettere la conservazione della natura” (Somma teologica, II-II, 147, 1, ad 2). E “la retta ragione non riduce il vitto tanto da rendere un uomo incapace di compiere le proprie mansioni” (Ib.) e di servire il prossimo. Per questo un cristiano non anteporrà mai il digiuno alla carità. Il digiuno rimane un mezzo per servire meglio la carità. La carità invece è il fine di tutta la vita cristiana.
5. Scrive S. Tommaso: “È il fine (la carità) la realtà che va attinta senza misura. Tutto ciò, invece, che è mezzo (il digiuno) in ordine al fine va attinto con misura e proporzione. Così ad esempio, il medico cerca la salute più grande possibile del malato (il fine). Somministra invece la medicina (il mezzo) secondo la capacità del ricevente. Ebbene nella vita spirituale il fine è l’amore di Dio. I digiuni, invece, le veglie e tutti gli altri esercizi corporali non vengono cercati come fine, perché il regno di Dio non è questione di cibo e bevande (Rm 14,17), ma come mezzi necessari al fine, e cioè per domare le concupiscenze della carne, secondo quanto dice l’Apostolo: ‘castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù…’ (1 Cor 9,27). E perciò sono da usarsi secondo una certa misura della ragione: in modo che la concupiscenza venga distolta e la natura non sia estinta” (Quodl., V, 9, 2).

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