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Come dovrà essere il nuovo pontefice?

Aleteia - pubblicato il 26/02/13

Più pastore che professore, “un papa con i piedi nudi”

La rinuncia di Benedetto XVI non è ancora entrata in vigore eppure già si moltiplicano opinioni e commenti su cosa dovrà fare il nuovo papa e quali saranno le sfide che dovrà affrontare. Tante le speculazioni sul Paese dal quale proverrà, ma l'essenziale è ricordare che “il punto non è la nazionalità, ma la visione globale”, perché ciò che conta è individuare “la persona più santa possibile che sappia testimoniare la fede e guidare la Chiesa” (La Stampa, 26 febbraio).

Come per ogni papa, non mancano le critiche di quanti riconoscono a Benedetto XVI questa o quella mancanza, a livello di impostazione ideologica e di azione. Si passa dal criticare la sua presunta mancanza di “carisma per dirigere e animare la comunità”, il suo tradizionalismo che avrebbe frenato il rinnovamento della Chiesa incentivato dal Concilio Vaticano II o la centralizzazione (Leonardoboff.wordpress.com, 18 febbraio) all'attacco della sua presunta rigidità a livello di dottrina, morale sessuale e bioetica, pur riconoscendo sempre il suo coraggio di abbandonare il “felpato linguaggio del prelato di Curia” per denunciare apertamente la “sporcizia” nella Chiesa (Adista, 26 febbraio).

Come dovrà essere allora il suo successore? Alcuni invocano un pontefice “più pastore che professore, non un uomo della istituzione-Chiesa”; un uomo “profondamente spirituale e aperto a tutti i sentieri religiosi per mantenere viva tutti insieme la fiamma sacra che esiste in ogni persona: la misteriosa presenza di Dio”; “un uomo di profonda bontà, sullo stile di papa Giovanni XXIII, con tenerezza verso gli umili e con fermezza profetica per denunciare chi promuove l’accertamento e fa della violenza e della guerra strumenti di dominazione degli altri e del mondo” (Leonardoboff.wordpress.com, 18 febbraio).

C'è chi spera che il nuovo pontefice sia “un papa con i piedi nudi, con il cuore di povero, un papa che apra le braccia, che consoli”, “che dica agli uomini e alle donne di questo mondo che sono capaci di essere buoni, di essere generosi”, che sia “assetato di giustizia, che tuoni contro la cupidigia del denaro”, “che dia fiducia ai battezzati, che dia loro il desiderio di essere testimoni della sollecitudine di Dio”, una persona che, ad ascoltarla, faccia sì che “ci sentiamo amati da Dio e sorga in noi il desiderio di essere migliori” (La Vie, 22 febbraio), un papa che riprenda gli impegni del Concilio Vaticano II a partire dalla collegialità, dando importanza a un tema di “coerenza evangelica” al quale in quell'occasione non venne dato un “compiuto sviluppo teologico”, quello della povertà (La Repubblica, 25 febbraio).


Una delle sfide più importanti che dovrà affrontare, ha sottolineato Daniel Marguerat, ex decano della Facoltà di teologia di Losanna e professore onorario di quell'università, è quella di un nuovo slancio da dare all'ecumenismo, perché “per quanto possa parere paradossale il destino dei protestanti e quello dei cattolici romani sono indissolubilmente legati” (Garrigues et Sentiers, 24 febbraio). Forza e debolezza del protestantesimo e del cattolicesimo sono infatti il rovescio l'una dell'altra: “la forza protestante sta nel rispettare la sua pluralità, ma la sua fragilità genetica è un'incapacità ad esprimere e mettere in atto la sua unità”, mentre la forza del cattolicesimo romano risiede “in un sentimento di appartenenza che lo unifica, ma non sa accogliere la sua diversità interna, che tende a rifiutare”.

Ugualmente rilevante e delicato è il tema della trasmissione generazionale della fede. Per il teologo J.M. Tillard, questa generazione appare “l’estrema testimone di una certa modalità di essere cristiani, legata all’idea di una società cristiana”, mentre in futuro occorrerà abituarsi a “una Chiesa di minoranza, costituita da piccoli gruppi di persone veramente convinte e credenti e che agiscono di conseguenza” (L'Unità, 25 febbraio).

Per molti serve poi innanzitutto una riforma interna alla Chiesa, per snellire la Curia romana e porla maggiormente al servizio della “Chiesa di base, quella a contatto con la gente”, con un adeguamento alle esigenze attuali, combattendo la burocrazia che a volte ostacola anche la Chiesa, nella figura di quei settori che “frenano per mantenere ambiti di potere e di influenza” (La Stampa, 26 febbraio).

I cardinali eleggeranno una persona capace di affrontare queste sfide? È questo che conta, non le tante voci che si rincorrono nel pre-Conclave, a cominciare dalle disquisizioni sulla legittimità di alcuni porporati di eleggere il nuovo pontefice per via dei loro veri o solo presunti trascorsi problematici. Anche chi è in discussione per le sue condotte, “pur arrancando”, può infatti “farsi strumento della volontà divina”, perché “Dio parla anche attraverso le debolezze degli uomini”.

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