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Conclave: i cardinali sono (quasi) pronti

Roberta Sciamplicotti - pubblicato il 18/02/13

Dopo gli esercizi spirituali, via alle discussioni sul nuovo papa

Gli esercizi spirituali quaresimali in svolgimento in Vaticano dal 17 al 23 febbraio frenano ancora un po' i contatti pre-conclave, ma al loro termine i cardinali inizieranno a parlare sul serio di chi scegliere come successore di Benedetto XVI.

Il papa dimissionario avrà nel conclave “uno straordinario ruolo spirituale” mediante “il suo esempio, la sua preghiera”, ma non in altro modo, “perché ha già detto con la sua caratteristica umiltà che non vuole avere alcuna influenza diretta sul Conclave”, come ha ricordato il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York (Vatican Insider, 18 febbraio).

I “partiti” dei cardinali a sostegno di questo o quel candidato non si sono ancora definiti in modo chiaro, ma se c'è una cosa su cui tutti più o meno sono d'accordo è che sarà difficile prescindere dal “partito nordamericano”, perché significherebbe sottovalutare “uno degli episcopati più potenti e influenti della Chiesa; e non solo per questioni finanziarie” (Corriere della Sera, 18 febbraio). Poco conta che i membri di questo schieramento siano in tutto 14 – inclusi due canadesi -, ovvero la metà degli italiani con diritto di voto.

Il cattolicesimo negli Stati Uniti ha infatti ripreso forza, grazie soprattutto all'arrivo di immigrati dall'America centrale e meridionale, ma malgrado tutto nella lista dei “papabili” gli statunitensi “appaiono sempre in coda”. Per Thomas Reese, della Georgetown University, l'ateneo dei gesuiti a Washington, il Conclave “non amerebbe eleggere una persona che proviene dalla superpotenza mondiale”, perché “la gente penserebbe che la sua elezione sia stata combinata dalla Cia o 'comprata' da Wall Street”.

 Non si è poi spenta l'eco dello scandalo degli abusi sessuali. A questo riguardo, molti cattolici del Paese si sono opposti all'idea della partecipazione al Conclave del cardinale Roger Mahony, ex arcivescovo di Los Angeles che il suo successore, José Gómez, ha sollevato da tutti gli impegni pubblici per non aver denunciato i nomi dei sacerdoti pedofili e per la cattiva gestione dei presunti abusi sessuali su bambini negli anni Ottanta (Repubblica, 18 febbraio). Un gruppo di fedeli ha annunciato una petizione per chiedere al cardinale di rinunciare a partecipare al Conclave. Per il National Catholic Review, il papa “dovrebbe quantomeno impedirgli di votare”, mentre per il Washington Post Mahony “è fortunato a non essere in prigione”.


Non è da sottovalutare anche il resto dei Paesi americani, a cominciare dal Canada e continuando con l'America Latina. Dato che le logiche geopolitiche giocano da sempre “un ruolo formidabile dentro il conclave”, bisogna ricordare che nessun Paese al mondo ha tanti cattolici quanto il Brasile (134 milioni), da cui potrebbe quindi uscire un candidato (Repubblica, 18 febbraio).

Ci sono poi il cosiddetto “partito dell'Appartamento papale”, che si delinea attorno alle nomine cardinalizie fatte da Joseph Ratzinger – 67 elettori su 117 totali, mentre il quorum per diventare papa è ai due terzi, 78 – e i “bertoniani”, dove in prima linea c'è non tanto il Segretario di Stato quando alcuni suoi “fedelissimi”.


Consensi potrebbero poi raccogliere i candidati capaci di “portare la Chiesa ad abbracciare un nuovo inizio”, ovvero africani e asiatici. Un nome che emerge è quello del neo-cardinale Luis Antonio Tagle, 56enne arcivescovo di Manila (Filippine) (L'Unità, 18 febbraio), che per il vaticanista John Allen “ha la mente di un teologo, l’anima di un musicista e il cuore di un pastore”, oltre ad essere “un comunicatore di talento, ricercato speaker sui media”.

Se al di là delle congetture sembra esserci “un imbarazzo generale per il fatto che non esiste una candidatura che si imponga con gran forza” (Repubblica, 18 febbraio), i primi conciliaboli tra porporati enumerano già le qualità richieste al successore: “che abbia capacità pastorale, che sia in salute, che sia dotato di grande correttezza dottrinale ma anche in grado di trascinare, di trasmettere forza e speranza, che abbia capacità di governo”. Su quest'ultimo punto “emerge la critica, durissima, non solo a papa Ratzinger ma anche al suo precedessore Wojtyła”, perché ad alcuni sembra che nessuno dei due abbia saputo “gestire la Curia”.

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