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L’insegnamento di papa Ratzinger

Aleteia - pubblicato il 13/02/13

Una scelta per l'uomo e per la Chiesa

Il comprensibile sconcerto davanti all'annuncio di Benedetto XVI permane nell'analisi dei vari commentatori sulla stampa, ma è collegato strettamente al tentativo di interpretare ciò che, anche attraverso questo gesto, il teologo Ratzinger indica per il cammino della Chiesa e di ogni uomo.

Così Reiner Maria Woelki, il cardinale di Berlino nell'intervista di Andrea Tarquini: «La scelta di ritirarsi smitizza il magistero pontificale, ha cambiato la Chiesa. È un bene, un grande gesto d'apertura, spinge la Chiesa a riferirsi di più e sempre alla dimensione spirituale del magistero, non al suo ruolo come struttura e potere. Può valere da esempio per i pontefici futuri»."Per tutti noi presuli il mandato deve essere delega e missione, non potere: la vera Guida della Chiesa è Cristo, non il Papa”». (La Repubblica, 13 febbraio).

E' inevitabile la sensazione che “nulla sarà come prima” nella Chiesa, come afferma Barbara Spinelli: «”È inevitabile che le acque si richiudano, sopra il folle volo che ha sigillato la navigazione papale: il folle volo di quel 'le mie forze non sono più adatte', vires meas ingravescente aetate non aptas. È fatale che la faglia sia ricucita, proprio perché intravista sotto forma di inaudito scoppio di verità". "Non sarà una rivoluzione, ma nulla sarà più come prima". "Sommamente conservatore, Benedetto XVI inaspettatamente innova, quasi avesse intuito le insidie stesse del sacro"» (La Repubblica, 13 febbraio).

E ancora, per Brunetto Salvarani, teologo laico e direttore di Cem-Mondialità, «abbiamo la fine del modello monocratico-medioevale del papato. Si potrebbe parlare di una vittoria postuma della proposta del cardinal Martini: più collegialità, maggiore sinodalità, la fine della Chiesa tradizionalmente europa-centrica e ormai globalizzata, la drammatica consapevolezza della minoranza in cui si ritrova il cristianesimo in questo mondo"» (Corriere della Sera, 13 febbraio).

Il cardinale Martini viene ricordato anche da Marco Garzonio: «aveva detto nell'occasione: “La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?”. Qualche prelato commentò quelle frasi come uno sfogo d'un uomo prossimo alla morte, come dire, allusivamente: forse neanche del tutto in sé. Chissà se le dimissioni di Ratzinger gli hanno fatto cambiare idea e l'hanno convinto che è davvero l'ora della conversione per i cristiani, se non vogliono divenire irrilevanti per il mondo» (Corriere della Sera, 13 febbraio).

L'insegnamento di Ratzinger riguarda però anche qualcosa che ha a che fare con l'essenza profonda dell'uomo, come afferma Claudio Magris. «"È più facile, in generale, dire di sì, esplicitamente dinanzi a una nuova richiesta o implicitamente restando nella condizione in cui ci si trova. Ma è soprattutto con il no che si affermano la libertà e la dignità di un individuo: rifiutare e dunque mutare ciò che appare immutabile, sfatare la pretesa di ogni situazione consolidata che si crede salda e indiscutibile, non bruciare l'incenso agli idoli, talora mascherati da dei". "Prendere atto, apertamente, di una propria debolezza e inadeguatezza è una delle più alte prove di libertà e di intelligenza"» (Corriere della Sera, 13 febbraio).

Non manca chi teme che il gesto di Ratzinger costituisca un vulnus per la Chiesa e il ruolo del pontefice: «"dietro le dichiarazioni di solidarietà e di comprensione nei confronti di Josef Ratzinger, di circostanza o sincere, affiora la paura. È l'orrore del vuoto. Di più: della scomparsa dalla scena di un Pontefice che per anni è stato usato come scudo e schermo da molti di quelli che dovevano proteggerlo e ora temono i contraccolpi della fine di una idea sacrale del papato…". "Probabilmente, qualcuno non valuta con sufficiente lucidità che Benedetto XVI non era il problema, ma la spia dei problemi del Vaticano; e che usarlo come capro espiatorio non cancellerà tutte le altre questioni rimaste aperte non soltanto per sue responsabilità"» (Corriere della Sera, 13 febbraio).

Addirittura il tempo del pontificato di Benedetto XVI potrebbe essere tempo perso. «"E se fossero stati otto anni persi? Otto anni in cui tanti problemi già maturi ai tempi di Giovanni Paolo II sono stati semplicemente rimandati senza nemmeno essere avviati a soluzione. Dalla carenza di preti al ruolo delle donne, ad un nuovo approccio alla sessualità, alla rilancio dei rapporti ecumenici …"» (Il Fatto Quotidiano 13 febbraio). Per qualcuno la decisione del Papa è la dimostrazione della crisi della Chiesa. «Benedetto XVI ha giustificato con i problemi di salute la sua decisione di abbandonare la cattedra di Pietro. Ma sicuramente un ruolo preminente l'hanno avuto le lotte di potere e gli intrighi che hanno segnato gli ultimi anni del suo Pontificato. La ricerca del successore sarà tutt'altro che facile…» (Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio).

Anche perché: «"Le dimissioni papali vogliono dire con la forza delle cose un'oggettiva desacralizzazione della sua carica". "Con il gesto di Benedetto XVI è dunque il modo d'essere della struttura centrale del governo della Chiesa che viene in realtà messo in discussione: sottoposto al riscontro dei fatti, alla dura prova del tempo e della pochezza umana…"» (Corriere della Sera, 13 febbraio).

C'è chi, infine, trae da questo gesto il significato di tutto il pontificato: «Le inattese dimissioni di Benedetto XVI illuminano retrospettivamente tutto il suo pontificato. Oggi, infatti, la definizione di "pastore tedesco" – lanciata dal manifesto al momento della sua elezione il 19 aprile 2005 – appare più che mai insieme giornalisticamente felice e storicamente fallace…"» (Europa, 12 febbraio)

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