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La Chiesa sappia contemplare le icone, anche quelle dei computer

Aleteia - pubblicato il 27/01/13

Umanizzare le nuove tecnologie, sfida per la Chiesa e i credenti

“Il regno dei cieli è simile a una rete”. Il teologo don Giuseppe Lorizio, docente alla Pontificia Università Lateranense, ha scelto questa citazione tratta dal Vangelo di Matteo per sottolineare l'importanza che il web ha oggi anche per la Chiesa. “Come comunità cristiana siamo chiamati a essere presenti nella rete con il nostro messaggio che non è quello della semplice opinione, ma del vero cui tutti tendono”, ha osservato.

Il sacerdote auspica una Chiesa “che sappia contemplare le icone, anche quelle dei computer. Nella tradizione orientale l'icona rimanda all'infinito. Oggi sui pc o sui tablet l'icona è una finestra che con un semplice 'clic' ci conduce verso un mondo 'altro'” (Avvenire, 25 gennaio).

La sfida, a suo avviso, è quella di “umanizzare le nuove tecnologie”, usando ovviamente il discernimento. Il primo atteggiamento da evitare è la “demonizzazione dei media digitali”, strumenti che mostrano invece “come l'uomo partecipi dell'attività creatrice di Dio ogniqualvolta realizza mezzi capaci di stupirci per le loro incredibili possibilità”. Al tempo stesso, tuttavia, occorre “una presa di distanza che consenta di separare il grano dalla zizzania”.

Per monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della CEI e direttore dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, l'importante è non scambiare la tecnologia “per il tutto”, mentre è solo “l'ambiente” (Agenzia Sir, 25 gennaio). Dentro l'ambiente, ha osservato, “ciò che fa la differenza è la nostra libertà, è la nostra responsabilità”.

Sulla presenza della Chiesa in rete ci sono però anche voci contrarie. Dino Boffo, direttore di TV2000, ha criticato l'“ubriacatura da social network, anche dentro la Chiesa”, che sostiene “pagheremo cara; ci sveglieremo che non avremo più i nostri media cattolici, quelli classici”. I nuovi media, ha rilevato, “possono aggiungersi, non sostituirsi a quelli classici, che non sono la sopravvivenza di ruderi, ma i media che ci mettono a contatto con il cuore vivo della comunità cristiana'” (Asca.it, 26 gennaio).

Su questo punto, l'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha sottolineato che il papa “non intende certo sostituire i media vecchi con quelli nuovi”. È però un dato di fatto che oggi il 35% dei giovani si informa su Internet e che certe persone troveranno solo in rete la parola del Signore, per questo “la Chiesa ci deve essere” (La Repubblica, 27 gennaio).

I numeri, del resto, parlano chiaro: i seguaci del pontefice su Twitter hanno superato i 2,5 milioni nelle otto lingue, e il profilo italiano conta più di 288.000 followers. Aumentano poi i sacerdoti del web: il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha 32.000 followers, l'arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe sta pensando di iscriversi e sostiene che “anche Gesù, se nascesse oggi, sarebbe su Facebook”.

In questo contesto, nel campo del giornalismo cattolico bisogna assumere “la fatica di un riposizionamento intellettuale ed etico per costruire un ponte tra antiche e nuove tecnologie”. L'obiettivo è quello di unire al rigoroso rispetto delle regole la capacità di “vedere giusto, vedere lontano, vedere alto”, sguardo con cui si può scrivere in prima pagina che, nel tempo dell’incertezza, una società non è costretta a “sopravvivere” ma è chiamata a “rivivere” (Agenzia Sir, 27 gennaio).

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