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Se manca la verità, tutto diventa una questione di potere

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Avvenire - pubblicato il 14/01/13

Presentato a Roma il nuovo libro di Robert Spaemann intitolato “Fini naturali"

“Se non c’è la verità tutte le questioni diventato questioni di potere. Ed è quanto accade oggi” in Europa, dove si assiste a una “grave limitazione della libertà di opinione”. Non ci si chiede se una cosa sia vera o meno, ma se sia politicamente corretta o no. “E ciò che è politicamente corretto lo decide chi ha il potere”.



Lo afferma in un'intervista doppia al “Corriere della Sera” rilasciata insieme al cardinale Camillo Ruini il filosofo cattolico tedesco Robert Spaemann, amico di Benedetto XVI, che riprendendo il paragone ratzingeriano tra lo scetticismo moderno e la figura di Pilato indica come la sentenza del governatore romano sia stata “la vittoria del populismo sul diritto”; “Gesù muore a causa della mancanza di coraggio di un giudice”  (Tempi.it, 10 gennaio).



Per il cardinal Ruini, che ha curato la prefazione al testo, intitolato “Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico” e presentato il 10 gennaio a Roma, al giorno d'oggi più che mancanza di coraggio si verifica una “grande confusione di idee”, “proprio perché si pensa che la verità sia un concetto vecchio, superato”.



Le convinzioni di coscienza, ha osservato, non sono solo un fatto individuale ma riguardano il vero e il falso. Sui grandi temi etici e antropologici, allora, è “certamente una questione di coscienza, ma non solo”. In questo contesto, è importante l'obiezione di coscienza. “Una forza politica può dire: se qualcuno non è d’accordo, è concessa l’obiezione di coscienza. Ma non si può ridurre tutto alla coscienza personale dei singoli esponenti, senza che ci sia una presa di posizione e una linea da seguire. Non è adeguato alla rilevanza pratica del problema oggi” (Blog di Magister, 11 gennaio).



Nell'intervista, Spaemann – membro emerito della Pontificia Accademia per la Vita – richiama poi la definizione papale di “dittatura del relativismo” mettendo in guardia contro il grande pericolo del relativismo radicale. Alcuni, ricorda, pensano sia “la condizione della tolleranza”, ma è vero il contrario, perché la tolleranza si fonda sul rispetto della persona. Se questo scompare, allora con l’uomo e con la natura “si può fare di tutto”.



Allo stesso modo, ricorda l'“eclisse dei fini” e il dilagare della ragione strumentale che caratterizzano la nostra epoca, producendo alla lunga una perdita di libertà e privando dei criteri oggettivi “capaci di arginare quello scatenarsi illimitato di desideri soggettivi che distruggono le condizioni vitali della famiglia umana” (La Stampa.it, 9 gennaio).



Nel suo libro, infatti, Spaemann guida il lettore nella storia di una delle categorie fondamentali della filosofia occidentale, quella appunto del finalismo (teleologia), attualmente al centro di una nuova riconsiderazione a partire dai dibattiti sulla bioetica, sulla biopolitica e sull’ecologia.



Per teleologia, spiega, si intende l’interpretazione dei processi dal punto di vista della loro finalità. Non è che la teleologia sia la via e l’allargamento della ragione il fine, piuttosto l'allargamento ha come conseguenza la riabilitazione della riflessione teleologica. Dietro alla negazione della teleologia, c’è stato e c’è ancora a suo avviso “l’interesse al dominio della natura”, perché la riflessione teleologica permette di capire i fenomeni, l’osservazione e lo studio della causalità dei fenomeni permettono invece di manipolarli (Avvenire.it, 10 gennaio). 

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