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Anche l’astrattismo può essere arte sacra?

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Rodolfo Papa - pubblicato il 09/10/12

Oggi la Chiesa è chiamata a confrontarsi anche con le correnti contemporanee.

Ogni forma d’arte, in quanto espressione profonda dell’essere umano, può essere considerata religiosa; l’arte sacra, invece, costituisce una specie diversa di arte, in quanto nasce e si nutre della Fede ed ha come finalità “rendere servizio al culto”. L’arte sacra deve allora essere adatta al servizio liturgico, all’espressione delle verità evangeliche, alla lode a Dio. L’arte astratta appare del tutto inadatta a tali finalità, innanzitutto perché rifiuta il corpo e dunque è incapace di esprimere il mistero dell’Incarnazione del Verbo. L’astrattismo, dunque, pur potendo veicolare sentimenti religiosi, non può esprimere il sacro.

1) Ogni arte è in un certo modo “religiosa”, ma non ogni arte è “sacra”.

Di fatto ogni forma d’arte può essere intesa nel suo senso profondo come una risposta “religiosa” alle domande fondamentali della vita. Ma il religioso non è certamente il sacro, né tantomeno il sacro cristiano. Senza dubbio, una poesia di Giacomo Leopardi o di Georg Trakl come un romanzo di Robert Musil o di Franz Kafka possiedono un contenuto religioso, esprimono la ricerca di una risposta ai quesiti umanissimi ed ineludibili del vivere. Non solo la poesia e la letteratura, ma ogni forma artistica ha in sé la possibilità di esprimere un sentimento religioso. Nella scultura, nella pittura, come anche nell’architettura, o ancora nella danza, nel teatro, nella fotografia, fino ad ogni nuova disciplina artistica inventata negli ultimi decenni, in tutte può essere espresso in qualche modo l’humanum, ciò che intimamente riguarda l’essere umano, e così anche nelle opere di arte astratta. Anzi possiamo dire che tutte le arti siano riconducibili ad una tensione che può senz’altro essere definita “religiosa”.

Nell’espressione artistica contemporanea, prevale l’espressione dell’elemento soggettivo ed individualistico. La religiosità dell’opera artistica è intimamente connessa alla espressione della soggettività, dell’“io”. In particolare, la dimensione prevalente della pittura astratta è l’espressione soggettiva del sentimento, dei moti dell’anima, del tonfo assordante nel buio del cuore o della brezza leggera della serenità, della gioia squillante di un cuore che saltella o del delirio della follia. È proprio questa condizione di espressione soggettiva dei sentimenti ad inserire di diritto la pittura astratta tra le possibili variazioni del religioso artistico, ma proprio questa condizione di fatto la palesa anche come incapace di esprimere il sacro cristiano. L’arte sacra cristiana, infatti, esiste per proclamare le verità del Vangelo, per lodare il Signore, per servire la sacra liturgia. Queste finalità non possono essere veicolate dalle forme astratte, ma richiedono – come tutta la lunga tradizione dell’arte cristiana mostra – un’arte bella, universale, figurativa e narrativa. Infatti, nelle arti non può esserci contraddizione o dissonanza tra le forme espressive e il contenuto espresso.

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La specificità dell’arte sacra

2) L’arte sacra si distingue dall’arte religiosa perché intimamente legata alla liturgia.

La distinzione tra arte religiosa e arte sacra è condotta con molta chiarezza nella Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, del Concilio Vaticano II: «fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice l’arte sacra»(n. 122). Entro le arti belle (ovvero le arti che non hanno come finalità prevalente l’utilità, quali sono per esempio le produzioni artigianali di utensili) si ritaglia l’arte religiosa, ovvero un’arte che esprime un sentimento religioso. Ricordiamo brevemente che “religione” è una virtù etica, umana; fa parte della virtù cardinale della giustizia, è precisamente la giustizia nell’esercizio del culto dovuto a Dio[1]. Potremmo dire che è arte religiosa quella che esprime il sentimento umano di ricerca di Dio, il bisogno di infinito che l’uomo alberga in sé, il disagio e talvolta la disperazione nel non trovare niente che soddisfi tale bisogno, o anche la convinzione di dover ringraziare qualcuno per il fatto stesso che le cose sono … Ciò può esistere in ogni arte, indipendentemente dalla Fede dell’artista.

Al vertice dell’arte religiosa, si pone l’arte sacra.L’arte sacra, invece, non è semplicemente espressione della dimensione religiosa di ogni uomo, ma è intimamente connessa alla Fede e vive in essa e per essa. La Fede è virtù teologale, in quanto è emanazione della grazia santificante, avendo Dio come oggetto diretto e come motivo[2]. La dimensione sacra dell’arte, infatti, viene spiegata con riferimento alla “sacralità” del rito. L’aggettivo “sacro” viene attribuito innanzitutto al culto, ai riti, ai luoghi, appunto “sacri” e, solo di conseguenza, all’arte “sacra” e alle sue opere. L’arte religiosa diviene cioè “sacra” quando è finalizzata al sacro culto, al sacro rito, al sacro luogo, affinché «serva con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti»(Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 123). Dunque l’arte sacra è integralmente arte, ma trova la sua specificità nella sacralità del rito cui è destinata e che la informa dall’interno, affinché sia intimamente e interamente finalizzata alla sacralità, specchio delle verità di Fede, celebrazione e liturgia.

L’arte sacra si distingue, dunque, dall’arte religiosa proprio per un intimo legame con la liturgia; l’arte sacra è un’«arte adeguata alla liturgia»[3]; il legame con la liturgia è possibile grazie alla Fede. Nella Esortazione Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI analizza «Il legame profondo tra la bellezza e la liturgia», sottolineando la speciale finalità delle arti sacre: «Lo scopo dell’architettura sacra è di offrire alla Chiesa che celebra i misteri della fede, in particolare l’Eucaristia, lo spazio più adatto all’adeguato svolgimento della sua azione liturgica […] l’iconografia religiosa deve essere orientata alla mistagogia sacramentale »(nn. 121, 123-125). Mi sembra chiarificatore proporre una definizione di arte sacra aggiungendo, alla classica definizione di arte propria della tradizione aristotelico-tomista “Ars est recta ratio factibilium”, la dimensione della Fides implicata dalla sacralità, ovvero “SacraArs est Fides etrecta Ratio factibilium”.

BIBLIOGRAFIA:

1) San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, q. 81, a. 8.

2) San Tommaso d’Aquino, Super Boethii De Trin., q. III, a. 2, resp.

3) J. Ratzinger, Opera omnia. Teologia della liturgia, Parte A: “Lo spirito della Liturgia”, cap. III: “Arte e liturgia”, Città del Vaticano 2010, vol. XI, p. 132.

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L’arte sacra autentica

Quale relazione intercorre tra religioni e sistema artistico?

3) Come la tradizione dell’arte cristiana conferma, l’arte sacra deve essere bella, universale, figurativa, narrativa.

La finalità liturgica, intimamente cristocentrica, dell’arte sacra implica delle caratteristiche che, pur modulate in modi diversi, appaiono ricorrenti nella tradizione dell’arte sacra cristiana. Infatti, il sistema dell’arte cristiano, entro il quale i vari stili (romanico, gotico, barocco, neoclassico, etc. etc.) costituiscono delle modulazioni armoniche e non dissonanti, appare dotato – di fatto e di ragione – di almeno quattro caratteri fondamentali, che riguardano in modo specifico la pittura: universalità, bellezza, figuratività e narratività.

Ogni arte sacra deve essere, innanzitutto, universale. L’ampiezza con cui può accogliere stili diversi consiste appunto nella universalità del messaggio “cattolico”; come la pluralità dei riti accade entro un’unica azione liturgica ecclesiale, così i molti stili si configurano non come soluzioni eccentriche e a se stanti, ma come sfumature di un’unica lingua che sa parlare in molti toni diversi. Al neotribalismo postcontemporaneo, si oppone l’universalità dell’arte sacra perenne, capace di parlare un linguaggio potenzialmente comprensibile per ogni uomo, in quanto fondato su facoltà e perfezioni naturalmente possedute dagli uomini, e su doni teologali donati per la salvezza di tutti.

Un altro aspetto insopprimibile dell’arte cristiana è la bellezza. L’arte sacra non può che essere bella, perché la bellezza è l’aspetto mediatore tra visibile e invisibile, compito che costituisce la precipua identità della pittura sacra. Modello di ogni bellezza è la Bellezza divina di Gesù. Specifica con grande chiarezza Benedetto XVI: «con notevole frequenza udiamo citare Dostoevskij: “La bellezza ci salverà”. Ma il più delle volte si dimentica che il grande autore russo pensa alla bellezza redentiva di Cristo. […] E nulla può metterci maggiormente a contatto con la Bellezza di Cristo che il mondo del bello realizzato dalla fede»[1]. La bellezza è, dunque, l’aspetto visibile dell’azione creatrice e redentrice di Dio, e le arti sacre costruiscono “il mondo del bello realizzato dalla fede”.

Da questo consegue un’altra caratteristica centrale delle arti sacre: la figuratività. L’arte sacra di ogni tempo si fonda su un’opzione fondamentale che Carlo Chenis chiamò la “opzione figurativa”. Essa riguarda tutte le arti e in modo precipuo l’arte della pittura. La fondazione della figuratività della pittura sacra è peculiarmente cristocentrica, come è espresso nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «Poiché il Verbo si è fatto carne assumendo una vera umanità, il corpo di Cristo era delimitato. Perciò l’aspetto umano di Cristo può essere "dipinto" »(n. 476). La pittura cristiana nasce dal fatto misterioso dell’Incarnazione del Verbo divino, ed è originariamente figurativa, in quanto il corpo di Cristo è un corpo reale. L’arte pittorica sacra cristiana deve esprimere una visione del mondo in cui al centro della realtà creata e redenta c’è l’Incarnazione. Come ricordava il card. Joseph Ratzinger: «La totale assenza di immagini non è conciliabile con la fede nell’incarnazione di Dio»[2].

Il realismo figurativo è, dunque, una caratteristica insopprimibile del sistema dell’arte cristiana, e non è una scelta stilistica; ciò vuol dire che tutti gli stili figurativi sono, in linea di principio, potenzialmente compatibili con il sistema d’arte cristiano, mentre tutti i sistemi che rifiutano la figura (astratto, informale, arte povera, action painting, etc., etc.) ne sono di fatto incompatibili. Entro questa prospettiva, all’artista cristiano è chiesto un particolare impegno: quello di rappresentare la realtà creata e attraverso essa e in essa quell’“oltre” che la spiega, la fonda, la redime. Chenis sottolinea la capacità del figurativo di esprimere nell’immagine il suo significato: «Con il figurativo si raggiunge infatti la realtà, ma anche si indica il mistero»[3].

Anche in Cornelio Fabro, in una riflessione a margine di un grande artista quale Tiepolo, troviamo un’interessante sottolineatura di come il figurativo riesca a cogliere oltre la figura stessa: «L’arte cristiana, quella che s’illumina della fede come questa del Tiepolo, arriva molto più in là della filosofia, perché guarda a Cristo con gli occhi dell’amore e sa esprimere nella figurazione la trascendenza di una speranza di suprema consolazione che è offerta a ogni uomo».[4] La pittura figurativa necessariamente viene richiesta dalla finalità liturgica dell’arte sacra; infatti l’«immagine di Cristo è l’icona liturgica per eccellenza» (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 240)e «l’iconografia cristiana trascrive attraverso l’immagine il messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola. Immagine e Parola si illuminano a vicenda»(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1160). Nel figurativo, dunque, avviene il pieno concretizzarsi di un sistema artistico che si nutre della fede ed è un sistema che cerca costantemente di conformarsi a quanto Gesù Cristo rivela ed insegna.

BIBLIOGRAFIA:

1) Benedetto XVI, La croce e la nuova “estetica” della fede, e in P. Iacobone, E. Guerriero (a cura di), La nobile forma. Chiesa e artisti sulla via della bellezza, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2009, p.167.

2) J. Ratzinger, Opera omnia. Teologia della liturgia, Parte A: “Lo spirito della Liturgia”, cap. III: “Arte e liturgia”, Città del Vaticano 2010, vol. XI, p. 129.

3) C. Chenis, Fondamenti teorici dell’arte sacra. Magistero post-conciliare, Las, Roma 1991, pp. 154-155.

4) C. Fabro,La tempra di un padre della Chiesa, in Un incontro con Cornelio Fabro, Edizioni del Verbo Incarnato, Segni 2006, p. 6.

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Le immagini sacre e il Magistero della Chiesa

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