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Sant’Alfonso de’ Liguori e il quadro con le impronte dell’anima dannata

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 18/05/19

La vocazione del santo, fondatore dell'ordine dei Redentoristi, "nacque" durante un corso in cui gli fu mostrato un dipinto "maledetto" (che oggi è custodito a Napoli)

Un episodio particolare, legato alla presenza di un quadro su cui sarebbero impresse le impronte di un’anima dannata, sarebbe alla base della vocazione di Sant’Alfonso de’ Liguori.

A raccontare questa storia sono Marcello Stanzione e Carlo Di Pietro in “Santi e diavoli” (edizioni Segno).

Un cavaliere, appartenente ad una delle più note famiglie di Firenze, aveva una relazione extraconiugale con una nobildonna della stessa città. Il padre, venuto a conoscenza della cosa, ripetutamente, ma invano, esortò il figlio a cambiar vita. Dopo qualche tempo, però, nel 1712, la donna si ammalò e, in breve, morì, senza pentirsi del male fatto.

Gli esercizi spirituali

L’amante era distrutto per l’inattesa perdita, così suo padre, essendo in buoni rapporti con i preti della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, gli consigliò di partecipare ad un corso di esercizi spirituali per i laici che i padri tenevano nella loro casa religiosa di San Jacopo sull’Arno.

Le stanze

Il giovane, per accontentare il pio genitore, accettò il consiglio e si recò per qualche giorno in quel luogo sacro, dove tutto invitava alla preghiera e alla meditazione. Le stanze usate dai preti della Missione, come pure quelle occupate da coloro che partecipavano agli esercizi, oltre al letto, un armadietto e uno scrittoio avevano anche un inginocchiatoio in legno e un quadro del Crocifisso appeso alla parete. Le immagini di Gesù Crocifisso erano di carta incollata su tela, montata su un telaio di legno. Non erano, quindi, munite né di vetro né di cornice.




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Il fumo nella stanza

La sera del primo giorno, tutti i partecipanti erano scesi in refettorio per la cena. Era assente solo quel signore. Il direttore degli esercizi, preoccupato, salì al piano di sopra, bussò alla porta della sua camera, ma nessuno rispondeva. Pensando che fosse successo qualcosa di grave, aprì la porta e vide la stanza piena di denso fumo. Credendo che fosse un inizio di incendio, chiamò aiuto. Accorsero diverse persone. Diradandosi, frattanto, il fumo, notò che il cavaliere giaceva riverso a terra, privo di sensi.Fu subito adagiato sul letto e poco dopo rinvenne.

Non era stato un incendio…

Intanto il direttore ispezionava attentamente la stanza per rendersi conto da dove provenisse il fumo. A quel punto si accorse che sul quadro del Crocifisso appeso alla parete c’era l’impronta di due mani roventi.

Queste avevano bruciato, nella parte inferiore del quadro raffigurante Gesù Crocifisso, non solo la tela sulla quale era incollata l’immagine ma anche il telaio di legno che fungeva da supporto.




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L’apparizione dell’amante

Il cavaliere disse loro che tra le fiamme gli era apparsa l’amante, dicendogli, in tono irritato: «È per causa tua che io sono nell’inferno! Sta’ bene in guardia. Dio ha voluto che io te ne dessi l’avviso, e perché tu non abbia a dubitare della realtà della mia apparizione te ne lascio il segno».

Ciò detto, s’inginocchiò al genuflessorio e toccò con le mani il quadro, lasciandovi le impronte di fuoco che ora si vedono.

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Il quadro nascosto

Fortemente scosso da questa apparizione e meditando sulla triste sorte della sua amante, l’uomo si convertì, vivendo santamente per il resto della vita.

Poiché le famiglie dei due protagonisti erano bene in vista a Firenze, padre Giuseppe Scaramelli, superiore dei preti della Missione di Casa San Jacopo, per riguardo al loro onore, cercò di occultare il fatto. Per questo motivo tenne presso di sé il quadro e l’inginocchiatoio. E li portò con sé anche quando fu trasferito a Napoli, portò con sé il quadro. Redasse il 4 novembre del 1712, una testimonianza del fatto prodigioso, di cui era stato testimone oculare. Tale dichiarazione è munita del sigillo della Congregazione.




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Lo “choc” di Alfonso

Il quadro di Gesù Crocifisso si trova tuttora a Napoli, presso la Casa della Missione, via Vergini 51.

Il 26 marzo del 1722 entrò nella Casa dei Vergini a Napoli il giovane avvocato Alfonso de’ Liguori con altri giovani per partecipare ad un corso di esercizi spirituali tenuti dal padre D. Vincenzo Cutica.

Dopo la predica sull’inferno, tema consueto in un corso di esercizi spirituali, il predicatore mostrò ai partecipanti il quadro di Gesù Crocifisso con l’impronta delle mani roventi dell’anima dannata. Alfonso, che già da qualche tempo viveva una profonda crisi spirituale, fu talmente scosso a quella vista che decise in cuor suo di cambiare vita e dedicarsicompletamente al servizio di Dio.

Vescovo redentorista

LIGUORI
Shutterstock-Zvonimir Atletic

A trent’anni divenne sacerdote. A trentasei fondò la Congregazione del SS. Redentore. A sessant’anni fu eletto vescovo di Sant’Agata dei Goti (Benevento). Scrisse molti libri di morale e di ascetica. Morì il 1787 all’età di novantun anni e fu canonizzato nel 1832.




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