Chi conosce e ama le opere del grande scrittore inglese avrà colto la solidità etica a fondamento di queste cattedrali letterarie. La dignità della vita emerge in ogni situazione ed è difesa ad ogni costo. Attingiamo a piene mani dalla sua visione così robustamente cristiana, e per questo bellissima.
di Florio Scifo
In questi ultimi tempi, anche a causa della situazione politica nazionale ed internazionale e di alcuni casi concreti, è tornato alla ribalta mediatica il dibattito sui grandi problemi della bioetica contemporanea. Giovani e adulti si ritrovano sempre più spesso a discutere della vita, della dignità umana, della libertà e dell’amore: tematiche sulle quali è ormai necessario informarsi e prendere posizione, per evitare di venire travolti da una società che con-fonde (cioè mescola) i concetti, senza più accettare alcuna definizione regolatrice. Così, volendo umilmente offrire il mio contributo al dibattito, mi è sembrato opportuno riportare ancora una volta l’attenzione verso uno dei più grandi Maestri del secolo scorso: il Prof. John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), la cui opera principale, il Signore degli Anelli, si è piazzata al secondo posto dopo la Bibbia in una classifica dei libri più letti del XX secolo stilata dal London Sunday Times nel 1997. So bene che un riferimento alla morale tolkieniana in campo bioetico sia già stato fatto, anche recentemente, da studiosi ed altre persone ben più qualificate del sottoscritto. Tuttavia, a mio parere, rimangono ancora alcuni aspetti che necessiterebbero di una sottolineatura più precisa, specialmente per quanto riguarda l’aborto e l’eutanasia.
Prima di tutto, bisogna specificare che Tolkien non ha mai scritto nulla di esplicito a proposito di aborto ed eutanasia, né nei romanzi, né nelle lettere finora pubblicate.Del resto, da cristiano cattolico colto e profondamente religioso, egli era ben consapevole che il Magistero della Chiesa condanni senza mezzi termini questi atti contro la persona: ancora oggi, per chi procura l’aborto è prevista la scomunica latae sententiae, cioè per il fatto stesso. Inoltre il Professore oxoniense non era generalmente interessato a trattare tematiche specifiche, preferendo piuttosto l’affermazione di principi generali, quali possono essere la difesa della vita ed il contrasto all’eugenetica. Va, però, ricordato che:
1) In un recente ed interessante articolo di Gabriele Marconi viene dato per certo che
Tolkien sarebbe stato pro life se all’epoca si fosse usata questa locuzione per difendere il valore della vita nascente, malata e senescente[1]”. (Egli, infatti) lungo tutta la sua vita ha progressivamente dovuto affrontare a livello personale l’affermarsi di una società in patria che disconosceva l’indisponibilità della vita[2].
Lo stesso articolo, analizzando il saggio tolkieniano intitolato Laws and Costums among the Eldar, contenuto in Morgoth’s Ring (parte della History of Middle Earth, mai tradotta integralmente in italiano), evidenzia il grande valore attribuito dagli Elfi al periodo del concepimento dei figli (definito proprio “Giorni dei Figli”) e, più in generale, alla procreazione.
2) La volontà delle creature di assimilarsi a Dio nel governare la vita e la morte propria e altrui viene stigmatizzata come demoniaca da Tolkien, che la associa a Morgoth, Sauron e Saruman. Che cosa sono, infatti, gli Orchi e gli Uruk-Hai se non il frutto di un tentativo, fortunatamente fallito, di modellare “in laboratorio” degli esseri perfetti, “cattivi” in quanto schiavi dei loro padroni? E il peccato di Ar-Pharazon e dei Numenoreani al suo seguito non è forse quello di non aver voluto accettare la propria condizione di esseri mortali, su consiglio di Sauron?
3) Attraverso le parole di Gandalf a Frodo (“Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze”) viene chiaramente esposto il principio che l’uomo debba sempre difendere la vita e mai favorire la morte.Una posizione analoga a quella di Gandalf era stata presa neLo Hobbitda Bilbo che, pur trovandosi nella condizione di poter uccidere Gollum e pur sapendo che, se le parti fossero state invertite, Gollum lo avrebbe sicuramente ucciso, decise di salvargli la vita. Il Comandamento biblico “Tu non ucciderai” (traduzione più corretta rispetto al generico “Non uccidere”), insito nella coscienza di ogni uomo e ben noto a Tolkien, è perentorio e non lascia adito a dubbi. Che poi alcuni decidano, più o meno consapevolmente, di trasgredire questa legge morale è un problema filosofico e giuridico che riguarda i singoli individui, non il principio in sé.