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Pilecki, l’eroe che entrò volontario ad Auschwitz e fuggì per raccontarlo al mondo

WITOLD PILECKI

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Marcin Zyteka - pubblicato il 18/06/18

Le sofferenze del campo di concentramento furono per lui inferiori alle torture alle quali venne sottoposto nella Polonia staliniana

La figura di Witold Pilecki, 70 anni dopo la sua morte in un carcere di Varsavia (Polonia), affascina oggi gli storici, i criminologi e molti altri, che segnalano come la ricerca del cadavere di questo ufficiale polacco, iniziata solo pochi anni fa, mostra che i servizi di sicurezza della Repubblica Popolare Polacca cercarono con successo di eliminare il suo ricordo.

Le tracce di Pilecki si sono perse a Varsavia nel 1948. Dopo la sua esecuzione, il suo nome venne praticamente cancellato dai registri storici e dalla coscienza dell’opinione pubblica.

Venne “dimenticato” a tal punto che trent’anni dopo gli stessi funzionari della censura del regime, che controllavano i mezzi di comunicazione durante il periodo comunista, non sapevano chi fosse. Inconsciamente permisero la pubblicazione di un testo sull’ufficiale polacco, scritto in Gran Bretagna.

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Chi era Witold Pilecki?

Nel 1979, più di trent’anni dopo la sua morte, sul quotidiano di Varsavia Kurier Polski apparve una recensione del libro Six Faces of Courage, dello storico Michael Foot, che descriveva sei persone che con il loro eroismo straordinario avevano lasciato una traccia nella storia della resistenza antihitleriana in Europa. Pilecki era tra loro. Gli articoli successivi sul capitano apparvero sulla stampa polacca qualche mese dopo.

Lentamente si iniziava a ricordare l’ufficiale della cavalleria polacca, nato nel 1901, che difese il suo Paese lottando sia contro le truppe sovietiche, quando era appena un adolescente, che durante l’invasione della Polonia da parte della Germania di Hitler nel 1939.

Nel periodo tra le due guerre, Witold Pilecki non svolse attività militare, dedicandosi alla scienza – studiava presso la Facoltà di Agricoltura dell’Università di Poznań e la Facoltà di Belle Arti dell’Università di Vilna –, dipingendo quadri, dirigendo una fattoria e aiutando la moglie ad allevare i figli.

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Tornò nell’esercito con la politica di espansione del Terzo Reich guidato da Adolf Hitler, che si intensificò alla frontiera occidentale della Polonia. La guerra era imminente e il vicino di Pilecki, il maresciallo polacco Edward Rydz-Smigly, propose al capitano di tornare alle strutture difensive del Paese. Pilecki accettò.

Volontario ad Auschwitz

Una volta sconfitta la Polonia, dopo aver subìto successivamente le invasioni della Germania nazista e dell’Unione Sovietica, Witold Pilecki guidò come comandante un plotone nella cavalleria della divisione ed entrò nel movimento della resistenza. Dal sud del Paese riuscì ad arrivare a Varsavia, dove iniziò a creare le strutture dello Stato clandestino polacco in un’organizzazione chiamata Esercito Segreto della Polonia (TAP).

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Quando, a metà del 1940, tre funzionari del TAP furono tra le prime persone ad essere portate ad Auschwitz, campo creato da poco dai tedeschi, Pilecki e i suoi compagni iniziarono l’osservazione del nuovo campo di concentramento dal quale nessuno tornava. Durante uno degli incontri decisero di inviarvi qualcuno perché si unisse ai colleghi reclusi, raccogliesse informazioni di intelligence sul funzionamento del campo e organizzasse dall’interno un movimento di resistenza. Progettavano di liberare i prigionieri, stabilendo un piano di fuga o realizzando un’azione armata.

Pilecki, quando accettò di fare il volontario, non sapeva molto delle condizioni di Auschwitz. Si sapeva solo che la struttura era in funzione da appena tre mesi e serviva per rinchiudere soprattutto prigionieri politici e membri del movimento di resistenza polacco.

Nella Polonia occupata dalla Germania nazista non mancavano le opportunità per essere spediti nei campi di concentramento, e Pilecki doveva andare direttamente ad Auschwitz. Con quel proposito si espose all’arresto durante una delle azioni che i nazisti mettevano in atto per le vie di Varsavia per fare prigionieri che servissero da manodopera schiava.

Dopo la cattura, Pilecki venne considerato politicamente pericoloso e inviato al campo. Con il numero 4859 e un nome falso, Tomasz Serafinski, riuscì a entrare il 22 settembre 1940 nella lista di prigionieri di Auschwitz. Poco dopo il suo arrivo iniziò a creare una rete di cospirazione chiamata Unione delle Organizzazioni Militari (ZOW), alla quale si unirono, tra gli altri, il famoso saltatore con gli sci Bronislaw Czech e lo scultore Xavery Dunikowski.

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La struttura servì a mantenere il morale, scambiare informazioni esterne al campo, acquisire cibo e abiti per distribuirli segretamente e soprattutto preparare le proprie truppe nel caso di un possibile attacco dall’esterno da parte delle unità di guerriglia.

Nemico della Nazione

Pilecki trascorse 947 giorni ad Auschwitz, vivendo, osservando e analizzando il funzionamento del campo. Dopo essere fuggito con due compagni, scrisse, insieme ai rapporti di Jan Karski, il primo resoconto sull’attività della “fabbrica della morte”.

Lì identificò i suoi punti deboli, visto che come affermò “potrei abbandonare il campo quando voglio”. Anche se si ammalò varie volte e perse molti denti, credeva che i nazisti fossero stati relativamente “delicati” con lui.

Alla fine dell’aprile 1943, decise di avere una conoscenza adeguata del campo per annotarla e consegnarla agli Alleati. Credeva che grazie alla sua fuga e ai rapporti avrebbe potuto convincerli ad attaccare Auschwitz, dove grazie a lui esisteva un movimento di resistenza composto da circa 800 persone.

Le speranze risultarono vane, e i leader del movimento di resistenza, senza sostegno esterno, considerarono l’attacco a un campo fortemente militarizzato un progetto poco realistico e pericoloso.

Quando si avvicinava al fronte orientale, Pilecki decise di tornare nella capitale, dove partecipò alla sollevazione di Varsavia. Durante la rivolta diresse uno dei comandi.

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Alla fine della guerra venne arrestato e deportato nel campo di concentramento di Murnau, in Baviera. Una volta tornato in libertà ebbe l’opportunità di rimanere nell’Europa Occidentale, come molti prigionieri nelle sue condizioni, per il rischio di essere perseguitato dai comunisti, le nuove autorità della Polonia.

Pilecki, però, tornò nel suo Paese e subì la persecuzione contro le persone associate all’esercito prima della guerra e alle strutture statali del passato.

Col rafforzamento dei comunisti al potere era in grave pericolo. Rimase a Varsavia insieme alla sua famiglia, visto che la moglie rifiutò categoricamente di fuggire in Italia con i due figli separandosi da lui.

Nel 1946 il capitano venne arrestato dai servizi segreti comunisti in casa di alcuni amici e venne sottoposto a un’indagine brutale. Come confessò in una delle sue ultime conversazioni con la moglie, “Auschwitz era un gioco” rispetto alle torture a cui fu sottoposto nella prigione staliniana.

Durante il suo processo pubblico e fraudolento, Pilecki venne accusato di tradimento dello Stato e di tentativo di assassinio di rappresentanti delle autorità della Repubblica Popolare Polacca, accusa che respinse.

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La condanna a morte stabilita dal tribunale venne eseguita nella prigione di Varsavia, a Mokotów, il 25 maggio 1948, quando venne giustiziato con un colpo di pistola alla testa.

Le tracce di Pilecki si sono perse per quasi trent’anni, ma con la democratizzazione del Paese si è potuta recuperare gradualmente la memoria del capitano polacco.

Sono stati anche portati davanti alla giustizia i procuratori e i giudici che lo hanno condannato, tra i quali il procuratore militare e tenente colonnello Czeslaw Lapinski, morto due anni dopo l’apertura del processo, iniziato nel 2002 nel tentativo di promuovere la giustizia storica.

Paradossalmente, il persecutore del capitano è morto di cancro al Centro Oncologico di Varsavia, situato in via… Witold Pilecki. Anche se ci sono sempre più luoghi dedicati all’ufficiale polacco, l’équipe di storici, archeologi e ricercatori non è ancora riuscita a trovare i resti del “volontario di Auschwitz”.

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