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Amare con lo sguardo

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© Nicolas Fuentes / Flickr / CC

padre Carlos Padilla - pubblicato il 18/04/17

Voglio soffermarmi davanti a Gesù, guardarlo faccia a faccia

Mi piace pensare allo sguardo di Gesù. Tante volte nella sua vita ha posato il suo sguardo sugli uomini. Quel suo sguardo che comprende, nobilita, accoglie, perdona.

Ma io tante volte non sono stato guardato così. In molte occasioni ho notato l’assenza di uno sguardo. Forse le mie ferite profonde non derivano da azioni, ma da omissioni. L’assenza di uno sguardo. Sono stato invisibile. Non mi hanno visto. E in quell’assenza di sguardo ho notato il freddo della dimenticanza o del disprezzo. Dell’indifferenza, o della delusione. E l’anima si è turbata non essendo guardata.

È vero che altre volte ho notato uno sguardo freddo, di disprezzo, di disincanto. Quello sguardo che si è posato su di me con molta leggerezza. Mi ha lasciato indifeso, giudicato, condannato. A volte ho notato nella mia vita lo sguardo del giudizio o della condanna.

Lo stesso sguardo che ha ricevuto Gesù quando è stato scelto Barabba anziché Lui. Quello sguardo di disprezzo. O di un odio infondato. Il cuore non ha sempre bisogno di trovare delle ragioni per odiare.

Fa male lo sguardo del giudizio. Della derisione. Dell’attacco consapevole. Quello sguardo di rifiuto. Quando non sono stato accolto, quando mi hanno disprezzato. E allora ho vissuto il dolore della solitudine. Perché la solitudine non cercata è dura. Raggela l’anima.

Mi fa sentire dimenticato tra tanti uomini che vedo nella mia vita.

Quanto è importante lo sguardo! Guardare bene. Essere guardato. La forza di uno sguardo ci sostiene. La sua assenza, il suo vuoto cieco, ci affonda.




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Gesù ha forgiato il suo cuore nell’incavo della mano di suo Padre ed è saldo come una roccia. Riceve le tormente e la calma con la stessa pace sacra. Vive tutto con lo stesso amore.

Io non sono così. Io vado e vengo, scosso nella mia barca in base al mio mondo di sentimenti, alle circostanze, al riconoscimento altrui, in base agli sguardi che mi accolgono o mi rifiutano.

Per questo mi commuove vedere Gesù in questi giorni sacri. Gesù mi guarda mentre soffre il rifiuto. Forse il suo sguardo mi sostiene dalla croce. Gesù riceve le mie promesse d’amore, fragili, come un tesoro. Anche se poi sbaglio, anche se poi cado e fuggo. Vuole ricevere la mia sete dal dolore della croce.

Vorrei essere come Lui, avere come Lui il cuore saldo sulla roccia e non sulle sabbie mobili. Il suo amore è inamovibile. Non cambia da un giorno all’altro. Io invece cambio. Non dipende dagli sguardi che riceve. Io invece sì.

Egli è sempre lì. Con la sua pace. Mi ama senza condizioni. Senza chiedermi niente in cambio. Quello sguardo mi salva. Ma io mi dimentico. A volte credo di non conoscerlo. Non so come mi guarda. Voglio soffermarmi davanti a Lui, guardarlo faccia a faccia. Forse in cielo sarà così, sarà pienezza. Qui nella mia argilla mi turbo e dubito.

Forse sono i miei occhi a non saper guardare e giudicare, e la mia anima ospita nel più profondo il dubbio. E non so se Gesù mi ama tanto quanto Giovanni quella notte. O Pietro dopo il canto del gallo. Non lo so. Non lo vedo.

Guardo me stesso nel mio peccato e mi turbo. E non credo che il suo sguardo possa essere migliore del mio. L’incondizionato mi risulta così estraneo… Amare la bruttezza. Preferire ciò che è disprezzabile. Scegliere la sconfitta. Abbracciare il fallimento. Sviscerare sotto l’apparenza detestabile una bellezza senza pari.

Mi costa credere in uno sguardo così. Dubito del mio sguardo. Dubito di quello sguardo di Gesù. Chi sono io per Lui? Questa settimana di negoziati, di morte e di vita. Questa settimana della verità che si svela davanti ai miei occhi. Quanto valgo per Colui che dice di amarmi alla follia?




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Mi costa credere a quello sguardo che ammira, che si innamora, che sceglie. Io non sono così, per questo tremo. Perché preferisco la vita alla morte, il successo al fallimento, la bellezza alla bruttezza, l’onestà all’inganno.

Perché perfino il mio stesso peccato mi sembra sempre detestabile e non degno di misericordia. Perché io stesso non trascuro i miei errori, le mie cadute, i miei limiti. E mi innervosisco quando non succede tutto quello che voglio. E non arrivo a coprire tutte le perfezioni che disegno imperfette.

E nel fondo dell’anima desidero uno sguardo puro che veda solo il bene che faccio. E scopra nelle mie debolezze un amore profondo e incondizionato. Vorrei amare così. Dio, gli altri, me stesso.

Voglio che Gesù mi guardi come ha guardato Pietro. Ogni volta che cado. Ogni volta che tremo e dormo. Quello sguardo profondo e inconfondibile che mi rialza. Lo desidero e lo cerco ogni giorno.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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