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Un laico può reggere una parrocchia?

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Catholic Diocese of Saginaw-CC

Julio de la Vega-Hazas - pubblicato il 14/04/17

Chiarimenti a seguito della proposta innovativa del cardinale Marx

La questione deriva da alcune dichiarazioni recenti del cardinale Marx, arcivescovo di Monaco (Germania). Risponderò, ma credo che si debba aggiungere qualcosa al riguardo, perché altrimenti sospetto che la risposta non possa essere soddisfacente per i lettori.




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In realtà, quello che ha proposto il porporato era rilanciare un “progetto pilota” redatto nel 2013 con il titolo Opportunità e sfide per la Chiesa locale da un punto di vista socio-demografico. Ci riferiremo a questo, sia per quanto contiene che per alcune cose a cui non si allude e che potrebbero essere utili.

In primo luogo, la possibilità che un laico sia incaricato di una parrocchia. Lo stesso cardinale ha affermato che il Codice di Diritto Canonico ha previsto questa possibilità. È vero? Il Codice stabilisce quanto segue al secondo paragrafo del canone 517: “Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale”.

Quanto detto si riferisce ovviamente a un contesto di scarsità di sacerdoti. Il testo del Codice parla però di partecipazione, non di titolarità. Ciò che dice, quindi, non è che in assenza di sacerdoti una parrocchia può essere affidata a fedeli laici, come affermava il cardinale. Questi ha parlato di “assenza di un sacerdote fisso”.

L’aggiunta dell’aggettivo “fisso” può lasciare in aria l’esatto significato di “affidare una parrocchia”, ma se vediamo quello che dice il progetto diventa più chiaro: in base a questo, i vescovi ausiliari e i vicari episcopali dovrebbero riunirsi con i membri delle parrocchie delle zone interessate, e dopo aver selezionato un gruppo di laici-guida dovrebbero dibattere sulla struttura e sull’organizzazione della parrocchia. Non c’è spazio per il sacerdote che, in base al Codice, dirige l’attività pastorale. Circa i diaconi menzionati nel testo legale, nell’intervento del cardinale Marx non se ne fa alcun riferimento.

A questo riguardo esiste un’interpretazione del suddetto paragrafo molto più autorevole di quella che potrei dare io. In un documento del 1997, firmato da otto prefetti o presidenti di dicasteri della Santa Sede (Clero, Laici, Dottrina della Fede, Culto Divino, Vescovi, Evangelizzazione dei Popoli, Istituti di Vita Consacrata e Interpretazione dei Testi Legislativi) e approvato dal papa, si legge che questo canone dev’essere interpretato restando il fatto che si tratta di participatio in exercitio curæ pastoralis e non di dirigere, coordinare, moderare o governare la parrocchia, cose che secondo il testo del canone spetta solo a un sacerdote.

C’è chi pensa che argomentare con il Codice sia proprio di una rigidità legalista che va superata per via della necessità pastorale. Tralasciando il fatto che il cardinale stesso menzionava il testo legale, ciò che è certo è che in molti dei suoi articoli (“canoni”) riflette la dottrina cattolica e i testi del Concilio Vaticano II. Su questo punto è chiaramente così. Si potrebbero citare numerosi testi conciliari e pontifici successivi, anche se farlo trasformerebbe questa risposta in un articolo molto lungo, e per questo mi limiterò al minimo.

Il pastore dei fedeli è, nel suo senso più pieno, il vescovo. I presbiteri – che in genere definiamo sacerdoti – sono i collaboratori del vescovo in tutti gli aspetti del ministero sacerdotale. I presbiteri, pur non possedendo l’apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro congiunti nella dignità sacerdotale e in virtù del sacramento dell’ordine ad immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, sono consacrati per predicare il Vangelo, essere i pastori fedeli e celebrare il culto divino (Concilio Vaticano II, Costituzione Lumen gentium, n. 28).

Analizzando il testo precedente, è importante concentrarsi sull’unità tra le tre funzioni sacerdotali: predicare, essere i pastori e celebrare. Non si tratta solo del fatto che nessun altro se non il sacerdote ordinato possa celebrare sacramenti come l’Eucaristia, la Penitenza o l’Unzione dei malati – il che è già molto importante –, ma che tutte le funzioni sacerdotali vanno unite. Per questo il sacerdote è insostituibile.

In sua assenza si può supplire ad alcuni aspetti, ma non si possono trasferire il carattere e l’ufficio del pastore. Nel canone citato non si deve vedere una limitazione a quello che potrebbero fare i laici, quanto il contrario: quando non ci sono sacerdoti, infatti, si cerca di ampliare tutto ciò che possono fare i laici.

E che dire del sacerdozio comune dei fedeli, che fa sì che anche i laici partecipino al sacerdozio di Cristo? Il cardinale Marx segnalava che sarebbe necessario un maggiore approfondimento al riguardo. È certamente auspicabile, ma non andrebbe al punto concentrarsi sugli aspetti secondari anziché su quelli principali. I numeri 901 e 903 del Catechismo della Chiesa Cattolica sono molto chiarificatori a questo proposito.

Il titolo che li ingloba è partecipazione dei laici alla missione sacerdotale di Cristo. Il n. 901 è una citazione testuale della già menzionata Lumen gentium, che parla della consacrazione del mondo a Dio quando tutti gli aspetti e gli ambienti della loro vita sono realizzati nello Spirito e trasformati in sacrifici spirituali che si uniscono a quello di Cristo stesso nell’Eucaristia. Il n. 903 segnala che, dove lo consigli la necessità della Chiesa e non ci siano ministri, i laici possono supplire a questi in alcune delle loro funzioni.

La redazione di ciascuno già permette di concludere quale sia l’aspetto principale e quale quello secondario, ma perché risulti più chiaro nell’edizione stampata appare il 901 in maiuscolo e il 903 in minuscolo. È logico, perché il compito principale dei laici dev’essere quello più proprio, non quello sussidiario, ovvero quello che spetta loro per via della loro condizione laicale. Se “approfondire” è l’aspetto secondario, lo si voglia o no, si finisce per vedere nei laici dei fedeli di seconda categoria, e non è questo che voleva dire e che ha detto il Concilio, e dopo di lui i numerosi documenti dedicati al tema.

La verità è che il motivo principale per cui all’epoca è stato sottovalutato – in primo luogo dallo stesso cardinale Marx – lo studio di Monaco è perché introduceva uno spiraglio per poter ordinare sacerdoti uomini sposati. Alla fin fine, se c’è tanto bisogno di sacerdoti perché no? Presupporrebbe il fatto di rispondere a qualcosa di diverso da quello che è stato chiesto, e la risposta sarebbe lunga. Per questo, mi limito a invitare chi vuole a vedere cosa dice al riguardo il Concilio Vaticano II, con la lettura del n. 16 del decreto Presbyterorum ordinis, il documento che tratta dei sacerdoti.




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40 anni fa, con la diminuzione della pratica religiosa in Paesi come la Germania, sembrava attraente un modello di Chiesa che assomigliasse di più al protestantesimo, perché si poteva vedere come fosse più vicino alla gente separando meno la figura del pastore da quella dei fedeli. Attualmente, però, la situazione è del tutto diversa.

In Germania questa diminuzione si sta sicuramente acuendo, e ormai solo il 10% dei fedeli va in chiesa la domenica, ma è ugualmente certo che nei templi protestanti c’è un terzo dei fedeli. La rivitalizzazione, assolutamente necessaria, dev’essere cercata da un’altra parte, e la sua chiave non è la socio-demografia.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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