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All’inferno e ritorno: insieme a Cristo dalla morte alla vita

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padre Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 13/04/17

Continuare a sperare nei momenti di disperazione è una scelta intenzionale

Un cimitero è un buon posto per iniziare una meditazione sulla Pasqua? Oggi ho scoperto di sì. Ho trascorso il pomeriggio in un vecchio cimitero, camminando tra monumenti e lapidi secolari.

Ebrei, cristiani, massoni, pompieri, veterani di guerra, patriarchi, bambini, famiglie, orfani… era presente una miriade di combinazioni della condizione umana, ricordate da semplici targhe, sculture toccanti, grandi tombe e piccole lapidi. C’erano ettari di ricordi di vite umane giunte a una fine apparente.

In un cimitero si pensa ai morti, ovviamente, ma questo pomeriggio ho pensato a quelli che li hanno seppelliti e poi sono tornati ad affrontare il resto della loro vita, chiedendosi come far fronte al giorno successivo senza la presenza delle persone che avevano lasciato al cimitero. Quanti sono usciti da lì con speranza, e quanti in preda alla disperazione?




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Penso a queste cose mentre la Quaresima del 2017 giunge al termine e si avvicina la Pasqua. So che domenica scorsa (la Domenica delle Palme, o Passione del Signore) i cristiani egiziani sono stati uccisi nelle proprie chiese. Oggi ho parlato con un caro amico che ha appena perso una persona di cui era amico da 40 anni per via di un cancro. Come possiamo parlare di speranza o di casa quando sappiamo che la morte arriverà per tutti noi e che questo mondo è solo temporaneo?

Non sono domande nuove. Da sempre, l’uomo ha sofferto per la perdita e la morte. La temporaneità lo ha portato alla desolazione o alla mania. Ricordiamo gli ultimi versi di una poesia di Shelley:

E sul piedistallo queste parole appaiono: “Il mio nome è Ozymandias, Re dei Re;
guardate alle mie opere, voi potenti, e disperate!”

Nulla accanto rimane. Intorno alla rovina. Di quel colossale relitto, senza confini e nude Le solitarie e piatte sabbie si estendono all’infinito.

Come i monumenti che ho visto oggi, qualsiasi opera di mano o volontà umana dovrà soccombere al passare del tempo. Alla fine, il ricordo di ogni persona accanto alla quale sono passato oggi perirà. Di fronte a questo, il cristiano deve parlare.

Di fronte a morti e morenti, giovani e vecchi, santi e peccatori, ogni cristiano deve proclamare fino all’ultimo respiro queste parole (1 Corinzi 15, 12-19):

“Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”.

O Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, ha assunto l’intera condizione umana, inclusa la morte, e vi ha infuso la speranza radicata nella vita divina e nell’amore trionfante, o i cristiani non hanno nulla che abbia un valore duraturo da offrire al mondo. Oh, possiamo essere dei benintenzionati che parlano d’amore e operano per la giustizia, ma alla fine siamo solo inefficienti, inutili e senza speranza come l’ateo più stanco della vita, cinico o disperato. Se Cristo non ci ha guadagnato la vittoria sulla morte, allora qualsiasi altra cosa facciamo o non facciamo, diciamo o non diciamo, non conterà e non può contare, perché siamo tutti condannati a morire e ad essere dimenticati.




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Il vanto glorioso del Vangelo è che Gesù Cristo, il grido vittorioso dell’amore tenace di Dio, è entrato nel tempo, nello spazio e nella carne per cercare e salvare i peccatori creati a immagine divina. Gesù Cristo ama talmente i figli caduti di Suo Padre da scegliere di entrare nelle nostre tombe per cercarci, perfino entrando nell’inferno e “saccheggiandolo” per recuperarci dalla nostra tragedia autoinflitta.

Il Vangelo di Cristo crocifisso, risorto, regnante e ritornato fa sì che una passeggiata in un cimitero sia un’occasione di speranza piuttosto che di disperazione. Cristo desidera condividere la sua vittoria sulla morte con noi, per santificarci di modo che possiamo vedere il volto di Dio e vivere, e unirci con tutti i beati che ci hanno preceduto nella comunione dei santi. Sì, per tutta l’umanità ci saranno lacrime e tombe – per chi sarà fedele a Cristo ci sarà il trionfo.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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