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Che fare se il mio parroco si comporta come un dittatore?

Closeup of the neck of a priest wearing a black shirt with cassock and white clerical collar

© Anneka / Shutterstock

Canale de Aparecida A12 - pubblicato il 13/04/17

Non è peccato chiedere fedeltà al proprio sacerdote

di padre José Luís Queimado

I sacerdoti sono scelti da Dio in mezzo al popolo per servire la Chiesa e testimoniare il Redentore nel mondo.

Il Codice di Diritto Canonico afferma che “con il sacramento dell’ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a pascere il popolo di Dio, adempiendo nella persona di Cristo Capo, ciascuno nel suo grado, le funzioni di insegnare, santificare e governare” (Canone 1008). I sacerdoti hanno la missione di insegnare la retta via, collaborare alla santificazione del Popolo di Dio e governare con giustizia la comunità loro affidata.

Questo, ad ogni modo, non dà al sacerdote il diritto di proclamarsi il re onnipotente. In una parrocchia, ad esempio, il sacerdote è invitato a presiedere la comunità dei fedeli, incentivando la partecipazione di tutti. È molto strano vedere una parrocchia in cui il parroco fa ciò che vuole, quando vuole e come vuole, anche contrariando i desideri di tutta la comunità.

Bisogna sempre ricordare che il sacerdote è un essere umano, soggetto a errori e limitazioni. Anche se nel suo servizio ministeriale è Cristo stesso che guida le sue azioni, il sacerdote non smette di essere una persona debole e fragile, come afferma bene il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Questa presenza di Cristo nel ministro non deve essere intesa come se costui fosse premunito contro ogni debolezza umana, lo spirito di dominio, gli errori, persino il peccato. La forza dello Spirito Santo non garantisce nello stesso modo tutti gli atti dei ministri. Mentre nell’amministrazione dei sacramenti viene data questa garanzia, così che neppure il peccato del ministro può impedire il frutto della grazia, esistono molti altri atti in cui l’impronta umana del ministro lascia tracce che non sono sempre segno della fedeltà al Vangelo e che di conseguenza possono nuocere alla fecondità apostolica della Chiesa” (CCC, 1550).

Ciò vuol dire che la comunità ha l’autorità morale per esigere dal suo sacerdote l’atteggiamento che dovrebbe avere. Un sacerdote che umilia i parrocchiani dev’essere ripreso severamente.

Un sacerdote che trascura i malati ad esempio per stare su Internet o andare a feste private dev’essere rimproverato dai membri della comunità. Un presbitero che tratta bene solo le persone che hanno uno status sociale elevato e mira soltanto all’arricchimento e al denaro dev’essere ammonito dai parrocchiani. Non è peccato chiedere fedeltà al proprio sacerdote! Ma se lui non ascolta? E se usa il suo potere contro chi gli chiede coerenza?

Molti sacerdoti infedeli alla propria vocazione hanno usato la paura e l’autoritarismo per mettere a tacere le critiche della comunità. Vogliono vivere al di sopra di tutte le leggi, senza rendere conto a nessuno, ma devono sapere che tutti possono ricorrere a istanze superiori. Se nella vostra parrocchia c’è una persona arrogante, prepotente, libidinosa, vendicativa, antietica, ecc., siate certi di poter ricorrere al vescovo della vostra diocesi. Riunite il consiglio o tutti coloro che sono insoddisfatti dell’operato del sacerdote e portate le vostre lamentele al vescovo, che ha il dovere di ascoltare i fedeli e di indagare sulle denunce. Se le accuse verranno provate, il sacerdote potrà essere punito, perfino con le dimissioni dallo stato clericale, in base alla gravità delle sue azioni.

Nel Diritto Canonico troviamo la garanzia della punizione di tutti coloro che si ritengono al di sopra della legge, con il rischio di perdere lo stato clericale, il male più grande che un sacerdote può fare alla propria vocazione: “Il chierico che a norma del diritto perde lo stato clericale, ne perde insieme i diritti e non è tenuto ad alcun obbligo di tale stato, fermo restando il disposto del can. 291; gli è proibito di esercitare la potestà di ordine, salvo il disposto del can. 976; con ciò egli è privato di tutti gli uffici, di tutti gli incarichi e di qualsiasi potestà delegata” (Canone 292).

Ricordiamo quindi che la comunità ha il dovere principale di ammonire, curare e ausiliare i sacerdoti nel cammino vocazionale. Consigliare i sacerdoti e pregare per loro è missione di ogni cristiano, perché tutti siamo responsabili della Chiesa. Ci sono però forme per denunciare ed estirpare i mali provocati da sacerdoti improbi. La comunità può ricorrere al vescovo, e se questo non le risponde adeguatamente ha il diritto di rivolgersi ad altre autorità ecclesiastiche, che ricorderanno ai vescovi la missione di curare il proprio gregge. Cristo non deve mai essere tradito da chi lo rappresenta, ma se questo accade i traditori siano chiamati in tribunale!

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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