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I copti, un bersaglio non casuale

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Miriam Diez Bosch - Aleteia - pubblicato il 11/04/17

Dimitris Cavouras era a 400 metri dal luogo dell'attentato

Dopo Berlino, Londra, San Pietroburgo e Stoccolma, domenica scorsa il terrorismo dell’ISIS ha colpito gravemente l’Egitto. In concreto, Alessandria e Tanta. In concreto, due chiese copte di queste città. In concreto, la Domenica delle Palme. Dimitris Cavouras è cittadino di Alessandria, networks manager della Fondazione Anna Lindh e portavoce della comunità greca della città. Al momento dell’attacco si trovava a 400 metri dalla cattedrale copta di San Marco e ha sentito una forte esplosione.

Perché l’Egitto e perché i copti?

“Hanno attentato contro la comunità copta ma anche contro la società egiziana”, ha detto ad Aleteia Cavouras, per il quale non è un caso che l’attacco abbia avuto quel bersaglio. “La comunità copta è la minoranza cristiana principale nel sud-est asiatico”, ha affermato, spiegando che nella zona i rapporti interconfessionali hanno preso una direzione molto negativa, anche a causa delle pressioni geopolitiche.

I santuari e i luoghi di adorazione, di qualsiasi religione, sono un obiettivo chiaro, e come ha sottolineato Cavouras questa è una realtà dalle rivoluzioni del 2011. “Si tratta di un punto debole in cui si può fare grande danno. In questo caso, i copti hanno pagato il prezzo più alto”, ha osservato.

Al di là della religione, come ha riconosciuto lo stesso Cavouras, l’obiettivo dei terroristi, oltre a quello di diffondere paura, odio e morte, è intimidire il regime egiziano e minacciare l’unità del Paese. Alcuni giorni prima dell’attacco, infatti, il giornalista e attivista Mustafa Sinjar ha spiegato sul portale del centro per il pluralismo religioso in Medio Oriente che “considerare i copti un obiettivo è un mezzo di pressione, perché per il regime ha ripercussioni locali e internazionali”. Secondo Sinjar, l’ISIS vuole dividere i cristiani e i musulmani attaccando i copti e dimostrando che “lo Stato non può difenderli”.

Cos’ha motivato gli attacchi in questo momento preciso? “Abbiamo due chiese attaccate e un gran numero di morti e feriti”, ha sottolineato Cavouras. “Ma la situazione non è peggiorata, era già molto deteriorata”.

Il 24 febbraio scorso, centinaia di cristiani hanno abbandonato la città di el-Arish, a 100 chilometri dal Cairo, dopo le minacce dello Stato Islamico.

In precedenza, sette cittadini erano stati assassinati, e l’ISIS aveva pubblicato un video confermando la comunità copta come obiettivo. Il 28 febbraio, il Presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha dichiarato che questa minaccia era “un piano di codardi per intaccare la fiducia nel Governo, spezzare l’unità nazionale e istigare al conflitto”.

“Cureremo questa ferita e saremo più uniti che mai”

48 ore dopo i fatti, i cittadini egiziani sono ancora profondamente scossi. “A volte proviamo paura, angoscia e tristezza”, ha confessato Cavouras. Il Governo ha dichiarato tre giorni di lutto e tre mesi di stato d’emergenza, il massimo permesso dalla Costituzione del Paese.

Nonostante tutto, secondo il portavoce della comunità greca ad Alessandria “la società egiziana è convinta che supererà questa difficoltà e che lo farà molto più unita di prima”.

Cavouras ha spiegato che molti amici, sia musulmani che cristiani, lo hanno chiamato per sapere se stava bene, e racconta che molti sono andati negli ospedali a donare sangue.

Papa Francesco sarà una speranza per l’Egitto

Secondo Dimitris Cavouras, la visita di Papa Francesco non è un fattore che può aver provocato l’attacco. “Abbiamo ricevuto un messaggio del comitato organizzatore dell’evento che conferma che il viaggio rimane com’era previsto”.

In questo senso, Cavouras ha sottolineato l’importanza della visita del pontefice del 28 e 29 aprile. Pur ammettendo che si può considerare una provocazione per i terroristi, “è un grande simbolo di speranza e di forza per la comunità copta”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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