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Giovanni Paolo II ci ha mostrato che la santità è non solo possibile, ma entusiasmante

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© Dennis Jarvis CC / Letting Go of Control CC

Alejandra M. Correa - pubblicato il 03/04/17

Tributo di un membro della “generazione Giovanni Paolo II” al pontefice santo

Il 2 aprile 2005 mi trovavo in Piazza San Pietro a pregare per il nostro fragile papa Giovanni Paolo II.

Insieme a migliaia di altre persone ero accorsa lì a recitare un Rosario guidato da alcuni cardinali. Le preghiere che si ripetevano nella piazza erano una testimonianza della folla che era giunta a vegliare sapendo che il papa stava per partire verso la sua dimora celeste.

Giovanni Paolo II amava molto i giovani, e le sue ultime parole quella sera sono state “Vi ho cercato e voi siete venuti a trovarmi. Grazie”. Eravamo andati davvero da lui per salutarlo.

Alle 21.37, la luce dell’appartamento papale si è spenta. La luce che aveva brillato fino a poco prima alla fine si era estinta.

Le campane della basilica di San Pietro hanno iniziato a suonare: 84 volte, come gli anni del suo pellegrinaggio terreno. Era finalmente tornato “alla casa del Padre”.

Sei giorni dopo ero di nuovo in Piazza San Pietro. Un oceano di persone affollava Via della Conciliazione e superava il fiume Tevere. La gente gridava con gioia “Santo Subito!”, e lo stesso era scritto su molti striscioni.

San Giovanni Paolo II era già stato canonizzato in milioni di cuori in tutto il mondo. La sua vita era stata la prova che la santità era possibile, anche nel nostro mondo moderno.

Ho conosciuto Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù 2002 a Toronto. Ero appena tornata nella Chiesa cattolica dopo molti anni di ricerca. Per la maggior parte della mia vita, la fede non era stata altro che un’identità culturale. È stato tuttavia nella Chiesa in cui ero nata che ho finalmente trovato le risposte ai desideri più profondi del mio cuore. Le parole della Chiesa, che echeggiavano attraverso il papa, avevano risvegliato un nuovo desiderio nel mio cuore:

È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare.

Il desiderio profondo era vivere la santità, la chiamata radicale all’amore. Era il desiderio di avere un vero rapporto con il Dio della Creazione, con Gesù Cristo. La mia inquietudine era finalmente terminata.

Mentre la notte scendeva su Downsview Park, non potevo fare a meno di contemplare quel panorama inimmaginabile: quasi un milione di giovani si era riunito intorno a un fragile uomo di 81 anni. I giovani gridavano all’unisono “J-P-2, we love you!” La sua risposta? Un tenero sorriso pieno d’amore mentre muoveva il capo al ritmo della nostra voce.

Il papa ci ha rivolto parole di incoraggiamento e di santità e speranza radicali.

Voi siete la nostra speranza, i giovani sono la nostra speranza. Non lasciate che quella speranza muoia! Scommettete la vostra vita su di essa! Noi non siamo la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti; al contrario, siamo la somma dell’amore del Padre per noi e della nostra reale capacità di divenire l’immagine del Figlio suo.

Ci ha mostrato che la santità era non solo possibile, ma entusiasmante. Il suo amore e la sua fiducia ci esortavano e ci indicavano Cristo.

Due anni dopo quell’incontro straordinario ho fatto le valigie e sono partita per Roma per studiare Teologia. La fede che una volta era stata una serie di pietre miliari era ora diventata la mia vita, la mia identità. Anelavo a saperne di più. La Chiesa era diventata viva a Roma. Roma era la mia classe, e il Santo Padre era il mio professore preferito. La cosa che desideravo di più era conoscere il 264° successore di Pietro.

Sette mesi dopo mi trovavo in piedi in Piazza San Pietro a dirgli addio.

Dopo che le campane hanno suonato 84 volte siamo tutti tornati a casa col cuore pesante. Eravamo rimasti orfani. Il nostro Santo Padre non era più lì a incoraggiarci. La Cattedra di Pietro era vuota.

Qualche giorno dopo ho ricevuto un dono che avrebbe segnato la mia vita per sempre. Mi è stato chiesto di essere il lettore in spagnolo per le Exsequiis Pontificis, il funerale papale. Sono rimasta senza parole e gli occhi mi si sono riempiti di lacrime. Finalmente avrei potuto stare con il mio papa!

E così l’8 aprile “Santo Subito” ha risuonato come uno splendido inno in tutta Piazza San Pietro. Ho visto davanti a me un fiume di misericordia di Dio nei milioni di persone che si erano riuniti lì da tutto il mondo. Mentre leggevo il brano tratto dagli Atti degli Apostoli (10, 34-43), ho pensato ai tanti cristiani delle origini che avevano offerto la propria vita in quel luogo. Come San Pietro, anch’io avevo trovato colui che ha “parole di vita eterna” (Giovanni 6, 68). Era stato proprio donando la mia vita a Cristo che l’avevo trovata.

Il nostro Santo Padre ci aveva mostrato la vera donazione di sé nel modo in cui aveva guidato la Chiesa per 26 anni.

Quando ho finito di leggere ho provato un senso schiacciante della presenza dello Spirito Santo. Sono tornata al mio posto e ho guardato le centinaia di leader religiosi e politici di tutto il mondo che si erano riuniti lì per l’occasione.

Com’era possibile che la guida della Chiesa cattolica avesse toccato tante vite? Perché erano lì? Potevo trovare solo una spiegazione.

Ho pensato che tutte quelle persone avessero visto in San Giovanni Paolo II la presenza stessa di Cristo. Era Cristo la bellezza verso la quale erano tanto attirate.

San Giovanni Paolo II aveva realizzato la sua missione. Ora il papa che era stato chiamato da lontano avrebbe svolto il suo compito più importante dal cielo.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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