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Quando le anime del Purgatorio ci lasciano dei messaggi

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Maria Paola Daud - pubblicato il 23/03/17

Dettagli, ricordi, immagini che le anime hanno lasciato attraverso i secoli

Ricordo che quando ero piccola mia nonna mi diceva che bisognava sempre pregare per le anime del Purgatorio. Non lo capivo molto, e non lo consideravo nemmeno tanto necessario. Visitando il Museo delle Anime del Purgatorio nella chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, l’unica in stile neogotico di Roma, terminata nel 1917 e situata a dieci minuti da piazza San Pietro, mi sono resa conto con una buona dose di stupore che mia nonna aveva ragione, e sono riuscita a capire perché queste anime hanno bisogno delle nostre preghiere.

Appena entrati in chiesa colpisce la suggestiva atmosfera medievale. Pur trovandosi in una zona piuttosto centrale, regna il silenzio. Nella parte destra, dal lato della sagrestia, possiamo visitare il museo delle anime che in qualche modo si sono fatte “vedere”.

L’immagine che mi ha colpito di più è proprio quella che ha dato l’idea per mettere insieme questa raccolta così particolare. Dopo un incendio propagatosi nella cappella della Madonna del Rosario, quando il fuoco era già stato spento, padre Victor Jouët – dell’Ordine del Sacro Cuore, fondato nel 1854 in Francia e la cui missione era pregare e offrire Messe per il riposo delle anime del Purgatorio – assicurò di vedere nella parete dietro l’altare un volto con tratti umani. Aveva l’espressione triste e malinconica, plasmata dalle fiamme.


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Il religioso giunse alla conclusione che il defunto fosse un condannato al Purgatorio e volesse mettersi in contatto con i viventi. Colpito dall’accaduto, decise di cercare documenti e prove collegati alle anime del Purgatorio.

Papa Pio X gli permise di viaggiare in tutta Europa per raccogliere reliquie che testimoniassero le visite di queste anime.

Il sacerdote riuscì a trovare una gran quantità di materiale, dopo aver visionato il quale ritenne che i defunti condannati al Purgatorio chiedono preghiere e Messe di suffragio ai viventi per alleviare o abbreviare le loro pene.

Queste anime sono state rette in vita, ma se hanno qualche “macchia” hanno bisogno del Purgatorio.


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Nel museo è catalogata ogni manifestazione conservata, con un foglio in varie lingue in cui si racconta brevemente la storia di ciascun oggetto.

Non posso negare che mi siano venuti i brividi leggendo quei racconti. Ecco qualche esempio:
1. La mano impressa sulle pagine di un libro di preghiere.
2. Le impronte bruciate su una tunica e una camicia della venerabile madre Isabella Fornari, badessa delle Clarisse di Todi, del 1731.
3. La federa con l’immagine bruciata di una suora morta di tubercolosi apparsa a una delle sue consorelle per convincerla a pregare per la sua salvezza.
4. Le impronte lasciate da una donna sul berretto da notte del marito, al quale chiedeva preghiere per andare più rapidamente in Paradiso.
5. I biglietti lasciati dallo spirito di un sacerdote nel 1920 nel monastero di San Leonardo a Montefalco per chiedere una Messa per sé.
6. L’impronta più nitida è quella di Giuseppe Leleux di Wodecq, una bruciatura impressa su una manica della madre morta nel 1762 e apparsa nel 1789. La madre rimproverava il figlio per la vita disordinata che conduceva e per averla dimenticata nelle sue preghiere. Questo fece sì che si avvicinasse subito alla Chiesa cambiando vita e morendo anche in odore di santità.


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Una visita a questo museo fa vedere, sentire e verificare che le anime del Purgatorio hanno bisogno delle nostre preghiere e soprattutto della Messa, e fa verificare anche la speranza della vita eterna, nella certezza che non tutto finisce qui come tanti credono.

Oltre a questo, fa capire quanto sia lamentabile che al giorno d’oggi non si parli più spesso del Purgatorio, visto che la maggior parte di noi sarà molto fortunata ad andare lì piuttosto che finire direttamente all’Inferno.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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