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Come le parole di un’estranea hanno alleviato il mio dolore per la morte di mio figlio 12enne

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Anna Whiston-Donaldson - pubblicato il 22/03/17

“Mentre aspettavo accanto al corpo di Jack, sono rimasta scioccata vedendo che tutti gli uccelli cantavano nell'oscurità. Non dimenticherò mai quel suono”

Sedevo a un piccolo tavolo sul retro della libreria, guardando i volti di amici e sconosciuti arrivati lì per sostenermi nel viaggio tumultuoso e del tutto non voluto che avevo affrontato negli ultimi tre anni. Il luogo era gremito.

Tre anni prima ero una mamma che cresceva i suoi due figli, Jack e Margaret, nei sobborghi della Virginia insieme a mio marito Tim. La nostra vita era tranquilla, e le nostre giornate si dividevano tra chiesa, scuola, baseball, calcio e il nostro laboratorio di cioccolateria, Shadow. Attirare folle non era certo nei miei progetti.

Tutto è cambiato quando ho perso mio figlio 12enne, caduto in un torrente impetuoso e gonfiato dalle piogge mentre giocava con i suoi amici nel cortile di un vicino. Ci sono volute ore per localizzare il suo corpo. Dalla morte di Jack, ho cercato di fare del mio meglio per scegliere di vivere con gioia, ma molti giorni ne erano ancora privi. La vita senza il mio figliolo bellissimo e gentile sembrava un compito impossibile, ma mi aggrappavo al versetto biblico di Luca (1, 37) “Nulla è impossibile a Dio”. Nulla? Nulla. Neanche sopravvivere alla perdita di un figlio.

Mi tenevo strette quelle parole. Continuavo ad aggrapparmi alla speranza e a confidare nel fatto che in qualche modo la vita potesse sembrare nuovamente degna di essere vissuta. Nonostante il dolore intenso, credevo che il Dio che seguivo non mi avrebbe lasciata sola nella mia angoscia. Speravo che la mia storia di imparare a sopravvivere, e magari anche di prosperare dopo la perdita più grande che si possa avere nella vita, potesse essere un balsamo per altre persone.

Qualche giorno dopo l’incidente ho iniziato a condividere sul mio blog la cruda realtà della perdita di un figlio. Alla fine ho scritto un libro, intitolato Rare Bird: A Memoir of Loss and Love (Uccello Raro: Ricordi di Perdita e Amore), un accenno alla personalità affascinante e particolare di nostro figlio, alla sua prima parola – uccello – e ai tanti modi strani e pieni di meraviglia in cui Dio usava gli uccelli per confortarci dopo la morte improvvisa di Jack. Le ghiandaie blu agivano in modo strano. Le aquile apparivano in posti improbabili. Canzoni sugli uccelli. Foto di uccelli. Perfino un uccello che volava in casa nostra!


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Scrivere mi ha dato l’opportunità di cercare di salvare qualcosa dalle ceneri della storia della mia famiglia e di raggiungere altre persone. Ho iniziato a incontrare genitori che avevano perso dei figli. Ho parlato nelle chiese di come sostenere gli amici che vivono un lutto. Sono andata nei campus universitari convididendo come essere più aperti quando si affronta un tema scomodo che in qualche misura influirà su ciascuno – il dolore e la perdita. È stato promettente vedere qualcosa di positivo venir fuori da un luogo così oscuro – vedere la possibilità di usare i miei scritti e le mie parole per aiutare gli altri anche se io stessa mi stavo ancora adattando alla situazione.

Non è che non avessi rimpianti. Rimpiangevo di aver lasciato i miei figli giocare nella pioggia con i loro amici il giorno della morte di Jack. Perché non li avevo tenuti dentro? Rimpiangevo i tanti piccoli fattori che avevano portato a conseguenze così pericolose, come il fatto che i miei vicini ed io non ci fossimo preoccupati quando il tempo era diventato improvvisamente pericoloso. E rimpiangevo il fatto di non essere stata lì quando i soccorritori avevano trovato il corpo di Jack intrappolato sotto i detriti. Ero con Jack nei primi momenti della sua vita ma non negli ultimi.

La polizia mi ha detto che era importante che rimanessi a casa mentre continuava a cercare, nel caso in cui Jack fosse tornato. Stava solo cercando di tenermi fuori dai piedi? Quando ho scoperto che era morto, immaginarmi il suo corpicino freddo, bagnato e solo è stato quasi insopportabile. Sapevo che c’erano dei professionisti intorno a lui che svolgevano il proprio mestiere, ma faceva male che non ci fosse nessuno che lo amasse accanto a lui.

Alla mia prima sessione di autografi del libro, esattamente tre anni dopo aver perso Jack, anche se nella libreria sentivo amore e calore, il mio cuore spezzato stava per prendere il sopravvento. Gli attacchi di dolore possono arrivare in qualsiasi momento, e chi soffre sa che deve soltanto lasciarli sfogare piuttosto che combatterli. Le vere emozioni non sono nulla di cui vergognarsi o da nascondere.

Dopo aver letto qualche passaggio del mio libro e aver risposto ad alcune domande, ho firmato il testo. C’erano abbracci, fotografie e risate. Erano presenti anche ex studenti del liceo in cui insegnavo, ovviamente tutti cresciuti. La gente si apriva mentre firmavo i libri, condividendo le proprie perdite e come il mio testo l’avesse aiutata.


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Alla fine della fila c’era una giovane donna. Sembrava nervosa e aveva le mani che tremavano, e allora ho teso le mie per prenderle, pronta ad ascoltare la sua storia. Pensavo che fosse una giovane madre e che leggere della morte di un figlio fosse particolarmente difficile per lei.

Si è presentata come Carrie, e non ero preparata a quello che mi ha detto: “Lavoro alla mia tesi in Scrittura creativa. Quando ho visto la pubblicità con il suo nome e la sua fotografia ieri ho capito che dovevo venire”. Mi ha spiegato che non aveva letto il mio blog né il mio libro, ma aveva capito quale fosse la mia storia dalla breve biografia che aveva letto in un opuscolo in cui si era imbattuta all’università.

“Penso che dovessi vedere quell’opuscolo”, ha continuato. “Sono un paramedico della squadra di soccorso che era andata a salvare Jack. Ero lì quando lo hanno trovato nel fiume. Volevo solo che sapesse che gli sono stata accanto fino a quando l’hanno portato via”.

Sono rimasta colpita da quanto fosse stato coraggioso e generoso per lei rivivere uno dei momenti più drammatici della sua giovane vita per far sapere a una madre addolorata che il figlio non era stato lasciato solo. Non ho potuto stare con il corpo di Jack quando è stato ritrovato, ma lei sì, e lo ha fatto. E questo mi ha confortata.

“Non mi ritengo una persona religiosa e non ho mai creduto nei segni, ma devo dirle che mentre aspettavo accanto al corpo di Jack che lo portassero via sono rimasta scioccata per il fatto che tutti gli uccelli cantassero nell’oscurità. Non dimenticherò mai quel suono”, ha continuato.


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La morte di Jack ha influenzato molte persone: i suoi amici, i soccorritori, perfino estreanei che hanno letto di lui a distanza di anni. L’impatto sulla nostra famiglia continuerà fin quando vivremo.

Ma lo stesso vale per i promemoria della fedeltà di Dio in mezzo alla sofferenza e il conforto che offre attraverso versetti biblici come Luca 1, 37, persone come Carrie e perfino gli uccelli che cantano nell’oscurità. Perché anche se nessuno era lì con il corpo di Jack non è mai stato davvero solo.

E non lo siete neanche voi.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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