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Quella indimenticabile trasferta di un malato di Sla per incontrare Papa Francesco

Pope Francis hugs a disabled man – AFP

© FILIPPO MONTEFORTE / AFP

CITE DU VATICAN, Vatican City : Pope Francis hugs a disabled man during a meeting with the UNITALSI, the Italian Union responsible for the transportation of sick people to Lourdes and the International Shrines in PaulVI hall, at the Vatican, on November 9, 2013. AFP PHOTO / FILIPPO MONTEFORTE

Aleteia - Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 14/03/17

Marco Pedde è un uomo che ha scoperto la malattia nel 2013. E da allora ha iniziato una battaglia per la vita

Nel settembre 2013 il popolo sardo ebbe l’occasione di assistere, a Cagliari, alla visita pastorale del neoeletto papa Francesco. Attraverso l’Aisla, Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, a Marco Pedde, assieme ad altri, l’opportunità d’incontrare direttamente il Pontefice.

Marco si presenta così: «Sono quattro anni che vivo fianco a fianco, 24 ore su 24, al mio ventilatore che mi consente di respirare. Quando mi sposto lo porto sempre con me, non potrei fare altrimenti. In questi anni, quasi dimenticandomi di avere la Sla, ho girato in lungo e in largo la Sardegna con il mio mitico furgone, da alcuni così tanto denigrato. Certo, non sarà il massimo del comfort, ma ha fatto sì che io potessi seguire le mie passioni, andando a Sassari per seguire la Dinamo (la squadra di basket di Sassari ndr) e a Cagliari per tifare la mia squadra del cuore» (Agensir, 3 marzo).

IL DESIDERIO DI INCONTRARE FRANCESCO

Marco ricorda così quell’incredibile viaggio romano dal suo papa. «Si trattava della mia prima lunga trasferta da malato di Sla e le difficoltà oggettive erano ingigantite dalla paura degli imprevisti. Pur titubante, sentivo però il forte desiderio di conoscere personalmente la più alta e autorevole figura del cristianesimo nel mondo».

“ERO TESISSIMO”

I giorni precedenti alla partenza, ricorda, furono caratterizzati da «ferventi preparativi», perché l’organizzazione del viaggio «doveva rasentare la perfezione». La preoccupazione più grande, rammenta, «fu quella di non riuscire a trascorrere tante ore seduto sulla carrozzina. Per me era un grosso punto interrogativo. Potete immaginare come passai la notte prima.

Ricordo che riuscii a dormire solo qualche ora, tanta era la tensione che mi accompagnava: sveglia alle quattro del mattino, ultimi controlli della strumentazione da portare appresso, e poi via, partenza verso il sud della Sardegna».

IL VIAGGIO IN FURGONE

Il viaggio da Nuoro a Cagliari fu una «vera avventura», con otto persone «a bordo del mio mitico furgone che chiacchierano per duecento chilometri, un vero caos. Dopo alcune soste già preventivate, arrivammo nel capoluogo sardo con largo anticipo per l’incontro col Papa, previsto per le ore 10».

“QUEL SILENZIO ASSORDANTE..”

Marco e il resto del gruppo si trasferirono, poi, nella grandiosa Basilica di Bonaria. «Tutti attendevamo con grande trepidazione l’arrivo di Francesco Dopo il suo ingresso nella chiesa della Patrona dei sardi regnava un silenzio reso assordante dall’emozione e dalla speranza».

“HO PROVATO GRANDE SOGGEZIONE”

Al di là della fede che ciascuno può avere, evidenzia Marco, «vi assicuro che trovarsi davanti a una così maestosa personalità non si può che provare grande soggezione. Sentire il suo contatto fu qualcosa di straordinaria emozione, penso non ci sia parola che possa descrivere lo stato d’animo in cui mi trovai in quel preciso istante che, se permettete, vorrei tenere tutto per me».

“CARICO DI ENERGIA POSITIVA”

Dopo quell’incontro «affrontai il viaggio di ritorno quasi in silenzio, immerso nelle mie riflessioni, estraniandomi dalla bellissima compagnia. Credevo che il giorno seguente la stanchezza mi avrebbe assalito. Invece, al contrario, trascorsi la giornata carico di serenità e di energia positiva».

“VOLERE E’ POTERE

Questo viaggio, spiega Marco, «mi diede il coraggio per affrontare quelle che sono state le mie successive trasferte, perché volere è potere».

E non ebbe esitazioni quando in quel letto della Rianimazione, «Peppino – il medico che sarebbe diventato un caro amico – mi comunicò che era giunto il momento di procedere all’intervento chirurgico al livello della trachea, necessario per collegare il ventilatore e assicurare il passaggio per l’aria destinata ai polmoni. Acconsentendo con un sorriso appena accennato e con un leggero movimento della testa».

“HO DECISO DI VIVERE!”

Dicendo sì alla tracheostomia «non decisi solo di vivere ma di vivere la vita – conclude l’uomo – seppur con tutte le ulteriori difficoltà che avrei consapevolmente incontrato, compresa quella di comunicare con il movimento delle labbra e il residuo filo sottilissimo di voce» (Agensir, 9 marzo).

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