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Dal Sud con creatività

Scuola di Pastoral Management Crotone

Diocesi di Crotone

Lucandrea Massaro - pubblicato il 09/03/17

Don Giovanni Barbara a Crotone porta nella sua esperienza pastorale quello che ha imparato nella Scuola di Management

Raggiungiamo telefonicamente Don Giovanni Barbara mentre finisce una celebrazione e sta per entrare in una riunione coi catechisti. La vita di un parroco, da nord a sud, è sempre così: piena di impegni e dunque anche per lui, nella parrocchia di Santa Chiara a Crotone, non è diverso. Diverso è – o almeno ci prova – l’approccio rispetto ad alcuni suoi confratelli. Il Don l’anno scorso ha seguito la prima edizione della Scuola di Management Pastorale per il Mediterraneo. Uno spin off dell’analogo percorso che da qualche tempo in più vive e prospera presso la Pontificia Università Lateranense. Don Giovanni si è portato a casa una cassetta degli attrezzi ben fornita e quest’anno guarda con attenzione alla partenza di una seconda edizione, il Vescovo, monsignor Domenico Graziani ci tiene, l’anno scorso è andata bene, quest’anno si spera di poter bissare.


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“Il corso di management l’ho fatta qui a Crotone è stata una bella novità, un mio confratello lo aveva fatto l’anno prima a Roma. La mia esperienza pastorale e di curia mi hanno incuriosito e convinto a partecipare” dice don Giovanni che ora nell’ex monastero delle clarisse, nel centro storico di Crotone, cerca nuove strategie di evangelizzazione e di valorizzazione del patrimonio storico-artistico sotto la sua responsabilità. “In 8 ex corsisti abbiamo fondato una associazione, che porta avanti l’esperienza del management nel nostro territorio utilizzando i beni culturali come strumento di evangelizzazione e ora tenteremo di valorizzare altre chiese che appartengono al Monastero. Qui non si sta con le mani in mano…” spiega, ma cosa vuol dire esattamente? “…anzitutto creare una nuova mentalità. C’è uno spirito di rassegnazione e assistenzialismo. Il corso stimola chi lo fa a ragionare sui doni e i talenti. La prima conversione deve essere quella dei preti. Il sacerdote spesso preferisce l’ordinarietà e se poco poco esce da questo schema barcolla. Magari è anche un po’ di provincialismo, ma la preoccupazione del Vescovo è proprio quella di migliorare la preparazione e la mentalità. La prima volta eravamo in 8 ora si sta ancora promuovendo il secondo anno parlando già ai seminaristi. Bisogna saper promuovere qualcosa di nuovo nelle modalità, Gesù è il centro, ma va offerto in modo nuovo”. Valorizzare quello che si ha e quello che si è, senza attendere che la Provvidenza si muova mentre noi restiamo fermi sembra voler dire. Un approccio spesso comune al Sud, funestato dalla disoccupazione e interrogato con grande forza dal fenomeno migratorio che investe tutto il Mediterraneo ma che ha nell’Italia un polo di attrazione fortissimo e nel Sud il luogo degli sbarchi. “Purtroppo questo flusso migratorio è un business, ed è un tema molto delicato. E’ la Chiesa che dovrebbe esporsi e parlare. Che cosa posso fare io per loro? Come ci poniamo come Chiesa? Purtroppo molti vedono un business in questi migranti e non dei fratelli da integrare, anche perché il nostro territorio è solo un punto di passaggio, perché nella nostra diocesi c’è il CIE più grande d’Europa, il Campo Sant’Anna. E’ difficile anche per noi rompere alcuni schemi consolidati…”. Si cerca un approccio di fraternità con queste persone che arrivano spesso senza nulla, ma anche senza nessun desiderio di restare e integrarsi, la destinazione è il nord Europa, questa è solo una tappa, ma anche questa va gestita come Dio comanda. O così ci piacerebbe.

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