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Questo è l’anno in cui dobbiamo smettere di peccare

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Hichem Deghmoum

Tom Hoopes - pubblicato il 28/02/17

Dopo il Giubileo della Misericordia, in questa Quaresima volgiamo lo sguardo a Fatima

Ci sono due esperienze nel confessionale che mi ricordano l’importanza del peccato. Esperienze che ho avuto con due diversi confessori: uno dallo Zimbabwe, che mi ha letteralmente scosso, e un altro dalla Francia, che mi ha consolato.

Le voglio citare perché molti di noi si stanno preparando per la Quaresima e, contemporaneamente, per il centesimo anniversario di Fatima. Che Dio, nella sua infinita saggezza, ha posto subito dopo l’Anno della Misericordia.

Mi piace l’Anno della Misericordia e amo il messaggio di Fatima, e penso che si completino perfettamente a vicenda.

Se la lezione di Santa Faustina è “Non temere! Dio perdona!“, allora il messaggio di Fatima è “Abbi paura del peccato! Dio punisce!”.

Santa Faustina mi ricorda che Dio è un oceano di misericordia. I bambini di Fatima mi ricordano che l’inferno è un lago di fuoco. E che le anime vi stanno cadendo “come fiocchi di neve”.

Questa Quaresima, insieme ad altri – tra cui il Ninevah 90 e il Fiat 90 qui al Benedictine College -, voglio passare dal “perdono dei peccati” alla “conversione dei peccatori”.

È quello che, molto tempo fa, mi ha ricordato un prete in visita dallo Zimbabwe.

A metà degli anni ’90, sono andato a confessarmi a Washington, vicino al National Press Building dove lavoravo. Per me era la tipica confessione. “Sono un pigrone. La mia scrivania è un macello. Mi manca autodisciplina. In casa non ho aiutato mia moglie quanto avrei dovuto…

Ho confessato i miei peccati a memoria, col capo chino, come a suggerire che forse avrei cambiato atteggiamento (o forse no).

Quando ho finito ho alzato lo sguardo. Intravedevo il viso del prete africano, e i suoi occhi sembravano fissare dritto nel profondo della mia anima.

Con tono secco e arrabbiato, nel suo forte accento, mi chiese: “Credi in Dio?

La domanda mi ha scioccato. Ci credevo? “Uh… sì?”. Deglutii.

Pronunciò le seguenti parole lentamente, come se a malapena riusciva a contenere la sua rabbia: “Allora… perché… tu… commetti… peccato?

Sono rimasto sorpreso, allarmato e un po’ spaventato.

Poi tutto il suo volto è cambiato ed è passato ad una disamina – con tono decisamente più leggero e dolce – di come avrei dovuto provare più duramente, confidare in Dio, etc.

Ma il punto era chiaro: tutta la mia confessione, il mio comportamento, la mio fraseologia, la mia lista dei peccati… tutto faceva trasparire un’anima che si era abituata al peccato, che lo vedeva come un dettaglio minore nella sua vita. Alla stregua di un letto non rifatto.

No. Il peccato non è così. Il peccato è un problema grosso. Una questione enorme.

E la misericordia di Dio non è l’alzata di spalle di un Dio benigno. È il dono enorme ed immensamente costoso acquistato e pagato da Gesù Cristo.

La piccola Beata Giacinta lo sapeva. Ebbe una visione dell’inferno, che la scosse e la cambiò.

Disse: “Bisogna pregare molto per liberare le anime dall’inferno! … Come mi fanno pena i peccatori! Se potessi fargli vedere l’inferno!

E ancora: “I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne”.

E poi supplicò la sua madre: “Cara madrina, fugga il lusso, non cerchi la ricchezza”.

In altre parole, era terrificata dai peccati che oggi sono più comuni in America: peccati legati all’eccessivo spendere e al sesso.


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Papa Francesco è il più recente, di una lunga serie di papi, a denunciare il fatto che la nostra cultura abbia perso il senso del peccato.

Nel suo libro “Il nome di Dio è Misericordia”, Papa Francesco spiega molti modi in cui ignoriamo il nostro peccato. Ma per lui, la Buona Novella della Misericordia non è che Dio non reputi orribili i nostri peccati, bensì che con Dio possiamo smettere di commettere cos orribili.

Non siamo condannati ad affondare nelle sabbie mobili, dentro le quali più ci muoviamo e più andiamo giù“, ha detto Francesco. “Gesù è lì, con la sua mano tesa, pronta ad afferrarci e a tirarci fuori dal fango, dal peccato, anche dall’abisso del male in cui siamo caduti. Dobbiamo soltanto prendere coscienza del nostro stato, essere onesti con noi stessi, non leccarci le ferite. Chiedere la grazia di riconoscerci peccatori, responsabili di quel male”.

Tutto ciò mi porta al secondo confessore a cui ho fatto riferimento prima, che ha salvato la mia anima in un modo molto diverso.

Vivevo a San Francisco e mi recai in una chiesa francese vicino al quartiere commerciale dove lavoravo. Ero pesantemente travagliato, sotto il peso di un peccato che avevo commesso.

Nel confessionale, rabbrividendo, mi alleggerii del peso di questo atto atroce. Il punto è che quando l’ho pronunciato ad alta voce, in realtà non sembrava poi così atroce.

Di nuovo, il prete fece una strana pausa. Ma questa volta, in un accento francese, il sacerdote mi ha detto: “È tutto qui?

Uh – Sì?

Be’, queste cose non dovrebbero turbarci. Vuoi l’assoluzione?

Immagino di sì“, ho detto, mentre il mio scrupolo svaniva in una nuvola di imbarazzo.

Non dovremmo mai fare l’errore di lasciare che i nostri sentimenti modellino la verità. No. Vogliamo che sia la Verità a modellare i nostri sentimenti.

Io non sono un sostenitore dei sensi di colpa. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un anno di scrupolosità.


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Ma abbiamo bisogno di un anno in cui smettiamo di peccare. Dio ci ha dato Fatima, e la Quaresima. Nella Sua misericordia.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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