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“La conoscenza vera dell’Islam è l’antidoto al radicalismo”

Vatican Insider - pubblicato il 25/02/17

Al piano di sotto, nella Mashyakha del Azhar, il cuore dell’Università sunnita del Cairo, c’è molto fermento. Gli uomini del Grande Imam, lo sheikh Ahmad Mohammed El Tayyeb, massima autorità religiosa del mondo sunnita, salgono e scendono le scale con documenti e messaggi da riferire. C’è in visita anche una delegazione della Chiesa di Roma, che proprio il 22 febbraio ha avviato insieme agli Ulema il «Dialogo tra l’università di Al Azhar e il Vaticano». Scambio, divulgazione del messaggio pacifico dell’Islam, dialogo, riforma e rinnovamento, sono le parole chiave da queste parti, dove la minaccia del radicalismo jihadista è sempre alle porte.  

Sheikh El Tayyeb, a giudicare dal calendario della università islamica del Cairo, dove Islam e Cristianesimo sono al centro di molti eventi, si può parlare di una visione comune tra lei e papa Francesco?

«Il dialogo fra i giovani musulmani e cristiani che Al Azhar ha promosso ci rende soddisfatti per la possibilità di discutere con loro su questioni fondamentali come la pace universale e la convivenza pacifica fra Occidente e Oriente. Ho totale fiducia nel fatto che i giovani riusciranno a liberarsi dal peso del nostro comune passato, che ha impedito alle generazioni precedenti di promuovere una cultura della pace e della convivenza, e ho invitato loro a essere messaggeri di pace, di misericordia e di collaborazione fra le nazioni, attivi nel combattere il radicalismo e l’odio. Nutriamo una fiducia smisurata in questo dialogo». 

In questi mesi gli ulema musulmani ci stanno riservando davvero delle sorprese: è stata rivista la fatwa sull’apostasia, e lei ha dichiarato che ai cristiani non si può più applicare l’istituto della dhimma, perché essa appartiene a un contesto storico del passato. I cristiani diventano dunque cittadini a pieno titolo nel mondo islamico?

«Sì, innanzitutto bisogna ricordare che l’Islam respinge qualunque forma di discriminazione o segregazione. Al Azhar, con il concetto di “cittadinanza” al posto di quello “delle minoranze”, non fa che resuscitare una vecchia pratica che il profeta stesso aveva adottato nella prima società islamica a Medina. Per fortuna la storia ha preservato quel documento straordinario, una sorta di costituzione unica e mai verificata prima nella storia, in cui si gettavano le basi di una vera convivenza fra etnie e religioni diverse in un contesto di rispetto reciproco e di eguaglianza. Con lo sviluppo della storia politica, la componente religiosa è diventata fondamentale nel definire i diritti e i doveri dei non musulmani nei confronti dello Stato; questo ha portato alla nascita della “dhimma”, che tuttavia riconosceva ai non musulmani ampi spazi, sia in termini di protezione che di libertà di culto. Oggi questo vecchio concetto non ha più nessun motivo di esistere perché non è più l’appartenenza religiosa a definire i diritti e doveri di ciascuno, ma è “la cittadinanza”».  

Oggi le femministe islamiche che vogliono la riforma sull’eredità potrebbero dire che anche qui ci troviamo in un diverso contesto storico, visto che ci sono donne capo famiglia, che lavorano, pagano le tasse e dividono lo stesso peso economico di un uomo…

«Molte pratiche e discriminazioni che colpiscono le donne non hanno origine religiose, ma sono frutto di fattori sociali e di tradizioni che purtroppo l’Islam non ha potuto debellare. L’Islam in verità ha liberato la donna già 14 secoli fa concedendole dei diritti e delle libertà, come il diritto allo studio, al lavoro o all’indipendenza materiale, diritti che in Occidente sono stati concessi solo nel XIX secolo. I precetti dell’Islam sono di due categorie: una stabile e permanente, che non subisce l’influenza del tempo o dello spazio né è soggetta a cambiamenti – riguarda soprattutto le liturgie -, l’altra è mutevole, e cambia con il passare del tempo, e l’ijtihad (sforzo, ndr) è lo strumento che permette di adeguarla, a partire da basi giuridiche e teologiche previste dall’Islam stesso. Al Azhar è impegnata in maniera seria e globale nell’adeguare l’Islam allo sviluppo dell’umanità attraverso delle interpretazioni e delle Fatwa che prendono in considerazione questi cambiamenti». 

Le parole riforma e rinnovamento sono i motori della vostra strategia, eppure la questione delle donne rimane ancora aperta. Qualcosa cambierà su questo fronte?

«Non penso che la questione della donna nell’Islam sia un fatto problematico. Nell’Islam la donna è a tutti gli effetti un partner dell’uomo. La poligamia ad esempio non è un’istituzione libera, ma deve essere subordinata alla giustizia, non deve recare danni alla prima moglie, anche da un punto di vista finanziario. Per quel che riguarda la questione dell’eredità, lo squilibrio nelle divisioni tra uomini e donne riguarda solo ed esclusivamente i fratelli e le sorelle, e non è da estendere a tutti i casi in cui una donna e un uomo si devono spartire un’eredità: ci sono casi in cui maschi e femmine prendono parti uguali, altri in cui la parte della donna è superiore a quella dell’uomo e altri casi ancora in cui è solo la donna ad ereditare. Quando il fratello eredità il doppio della sorella, è perché l’Islam intende così valorizzare e aiutare di più la donna, incaricando il padre, il fratello, il marito o il figlio del suo mantenimento. Sarebbe un’ingiustizia equiparare le parti di chi ha l’obbligo di mantenere con chi ha il diritto di essere mantenuto». 

Lei descrive la società dell’epoca del profeta Maometto come una società di pace e convivenza da cui prendere ispirazione anche oggi. Eppure il mondo islamico è interessato da guerre fratricide, tanto che in molti parlano di fitna, lo scontro tra sciiti e sunniti. È così?

«Lungo la sua storia, la umma islamica non ha mai conosciuto un conflitto violento a causa di differenze religiose o di pensiero. Non c’è mai stata una guerra fra sunniti e sciiti, ciò dimostra che le cause vere di queste guerre che alcuni Paesi musulmani stanno vivendo, sono da ricondurre a conflitti politici costruiti a tavolino da forze esterne. L’abbiamo dichiarato con forza innumerevoli volte: Daesh e tutti questi movimenti radicali non esprimono assolutamente né l’essenza né la verità dell’Islam. Affrontiamo la questione seriamente: ciò che Daesh fa in Siria o in Iraq o gli attacchi terroristici che perpetua nel mondo sono fondamentalmente frutto di interessi e di agende esterne, che sfruttano le differenze religiose per spaccare i paesi musulmani. Purtroppo alcuni paesi della Regione hanno una volontà egemonica e soffiano sul fuoco delle differenze». 

La minaccia del radicalismo jihadista ha fatto emergere anche l’Islam europeo. Come contrastare fondamentalismo e islamofobia?

«Crediamo che solo attraverso la conoscenza vera dell’Islam e dei suoi valori si possa combattere il fondamentalismo in Europa. Al Azhar può giocare un ruolo importante nella formazione degli imam in Europa, per fare in modo che ulema ben formati veicolino un messaggio di pace e fratellanza. In questo le rappresentanze diplomatiche dei Paesi musulmani devono impegnarsi seriamente attraverso convegni e incontri che avvicinino i cittadini europei all’essenza vera dell’Islam».  

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