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La scienza ci renderà immortali… davvero?

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Marcelo López Cambronero - pubblicato il 24/02/17

Analisi sui progressi nella ricerca della resurrezione scientifica

La scienza ci renderà immortali. Lo assicurano molti scienziati, che hanno perfino stabilito una data: l’anno 2045. E no, non sarà il momento di scongelare Walt Disney, perché contrariamente a quanto è stato detto e ripetuto fino alla nausea non è congelato in nessun magazzino segreto in attesa della resurrezione scientifica. Disney è stato cremato due giorni dopo la morte, avvenuta alla fine del 1966.

Vediamo dati più concreti. Il neuroscienziato Randal Koene, ex docente dell’Università di Boston, dirige un’équipe di ricerca sull’immortalità umana finanziata al 100% dal multimiliardario russo Dmitri Itskov e nella quale sono coinvolte altre figure di prestigio, come Theodore Berger (Università della California del Sud), Michail Lebedev (Università di Duke) e Alexander Kaplan (Università di Mosca). Il gruppo ha presentato alcuni dei suoi progressi in una conferenza svoltasi di recente a New York, e i presenti sono rimasti senza parole.

Il piano d’azione era il seguente: in primo luogo il cervello verrà inserito in un nuovo contesto cibernetico che gli fornirà tutta l’energia e i nutrienti necessari, alimentandolo con sostituti biotecnologici del sangue appositamente preparati. Verrà migliorato e riparato con protesi neuronali e sarà collegato a un sistema di organi creati artificialmente. In questo modo si cercherà di mantenerlo in vita (per ora non si può assicurare per quanto tempo) in un luogo controllato e regolato mentre si relaziona con gli altri attraverso un avatar, immagine tridimensionale o ologramma.

Il professor José Luis Cordeiro, famoso oratore della Singularity University (un’università fondata da un consorzio al quale partecipano, tra le altre istituzioni, Google e la NASA), ritiene che sia più ragionevole che tutto l’insieme di collegamenti e organi artificiali venga introdotto accanto al nostro cervello in uno scheletro metallico ricoperto di pelle artificiale, di modo che continui ad avere un aspetto umano e sia identico all’originale.

Un’altra possibilità, più semplice, è accumulare il contenuto del nostro cervello in una memoria esterna collegata a un universo virtuale in cui continuiamo ad essere “vivi” dopo la nostra morte. Questa opzione ha il vantaggio che il mondo digitale al quale siamo destinati può essere completamente controllato dall’esterno, il che permetterebbe di assicurare l’assenza di sofferenza, guerre e altre calamità.

Tutti gli scienziati citati concordano sul fatto che queste possibilità passano tutte per il fatto di risolvere un problema centrale: la conservazione della propria identità.

Non c’è infatti dubbio sul fatto che a breve si potrà costruire un hard disk di dimensioni ragionevoli in cui entrino tutti i ricordi di un soggetto. Avremo anche la capacità di costruire robot che sembrano umani, organi artificiali, ologrammi iper-realisti… ma non sappiamo quale sia la via da seguire per mantenere l’identità di qualcuno se il suo cervello si deteriora e dobbiamo ripararlo con elementi artificiali.


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Si può poi considerare che sono un essere vivo se la mia identità – la mia personalità –, anche se si riesce a clonare, non possa più cambiare, se è rimasta ferma a un determinato momento e per sempre? Si può dire che continuo ad essere me stesso se il mio corpo è sostituito da silicone e cavi? Questo non influirà indiscutibilmente sulla mia identità? O pensiamo che tutto quello che sono si riassuma nella mia attività cerebrale?

Spero che tutti i luminari citati mi perdonino, ma credo che il problema di fondo non sia la capacità tecnica di fare questo o quello, ma il fatto che c’è molta ignoranza su cosa sia un essere umano, anche tra gli scienziati.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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