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Trump, leader religiosi: no all’immigrazione selettiva per fede o nazione

Vatican Insider - pubblicato il 30/01/17

Ci sono i francescani e i gesuiti. Ci sono vescovi e leader delle chiese evangeliche, luterane, metodiste, battiste di molte altre confessioni e denominazioni cristiane negli Usa. Ci sono leader delle Chiese in Africa e Asia, suore, preti, ebrei e musulmani di organizzazioni impegnate per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso: sono gli oltre 2mila leader religiosi che hanno firmato un appello al Congresso e a Donald Trump per contestare la politica migratoria dopo che, con un ordine esecutivo, il neo presidente ha chiuso le porte degli Stati Uniti ai cittadini di sette paesi a maggioranza islamica. I leader chiedono un «sussulto morale» all’amministrazione e ai politici americani.  

«Il programma statunitense per i rifugiati – auspica il testo – deve rimanere aperto a persone di tutte le nazionalità e religioni che affrontano la persecuzione a causa delle ragioni elencate in base al diritto statunitense. Ci opponiamo a qualsiasi cambiamento che impedirebbe a profughi dalla Siria, Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen, o agli individui che praticano l’islam e le altre religioni, di accedere al programma di reinsediamento dei rifugiati negli Stati Uniti».  

L’appello è promosso dalla Interfaith Immigration Coalition che riunisce organizzazioni religiose di diverse fedi, impegnate per «politiche migratorie, giuste, eque e umane», secondo il principio di «accogliere lo straniero e trattare tutti gli esseri umani con dignità e rispetto». 

I leader religiosi scrivono: «Siamo chiamati dai nostri testi sacri e dalle nostre tradizioni di fede ad amare il prossimo, ad accompagnare le persone vulnerabili e accogliere con favore lo straniero. Guerre, conflitti e persecuzioni costringono molte persone a lasciare le loro case, creando rifugiati, richiedenti asilo e sfollati in un numero maggiore di qualsiasi altro momento della storia. Più di 65 milioni di persone sono attualmente sfollate nel mondo». 

«Questa nazione – prosegue l’appello – ha l’urgente responsabilità morale di accogliere i rifugiati e richiedenti asilo che si trovano in disperato bisogno di sicurezza. Oggi, con oltre cinque milioni di profughi siriani in fuga dalla violenza e dalla persecuzione e centinaia di migliaia di vittime civili, gli Stati Uniti hanno l’obbligo morale, in quanto nazione leader mondiale, di ridurre la sofferenza e accogliere generosamente i rifugiati siriani nel paese».  

Per questo si chiede all’amministrazione Trump e a tutti i membri del Congresso degli Stati Uniti di affermare un chiaro sostegno al «reinsediamento dei rifugiati provenienti da tutto il mondo negli Stati Uniti»: «Questa nazione ha una ricca storia di leadership nel reinsediamento dei rifugiati», si ricorda, con significativi precedenti tra i quali si possono ricordare gli anni dopo la seconda guerra mondiale o quelli seguiti alla caduta di Saigon (Vietnam). 

«È importante riconoscere – osservano i firmatari – che gli Stati Uniti hanno il più rigoroso processo al mondo per lo screening dei rifugiati, che coinvolge il Dipartimento della Difesa, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Sicurezza Interna, il Federal Bureau of Investigation e il National Counterterrorism Center. Il processo include controlli biometrici, controlli medici, test forensi, test del Dna per i casi di ricongiungimento familiare, interviste con i funzionari di sicurezza interna altamente qualificati». 

Ora, le nuove proposte di selezionare i rifugiati in base alla loro nazionalità o religione, violano gli stessi principi sui quali la nazione è stata costruita e, si osserva, «contraddicono l’eredità della leadership del nostro paese, storicamente dimostrata, disonorando la comune umanità». Per dare un contributo a rispondere alla crisi globale dei rifugiati, invece, «è fondamentale che gli Stati Uniti restino fedeli al mandato di reinsediare i più vulnerabili, appartenenti a una miriade di religioni ed etnie». 

Rappresentando le diverse fedi, i leader religiosi denunciano poi «il linguaggio dispregiativo usato verso rifugiati del Medio Oriente e i nostri amici musulmani e vicini di casa», stigmatizzando la «retorica incendiaria» che «non deve trovare posto nella nostra risposta a questa crisi umanitaria».  

Infatti, conclude l’appello, «i “nuovi americani” di tutte le fedi hanno contribuito alla nostra economia e alla nostra comunità» e i rifugiati hanno sempre rappresentato una preziosa risorsa per gli Stati Uniti, in quanto «potenti ambasciatori del sogno americano e dei principi fondanti della nostra nazione, come le pari opportunità, la libertà religiosa, libertà e la giustizia per tutti». 

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