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«Pillola del giorno dopo»: commette un peccato anche chi ne favorisce l’utilizzo?

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Toscana Oggi - pubblicato il 16/01/17

Ho letto, a proposito delle recenti dichiarazioni del Papa sull’aborto, che il peccato coinvolge non solo la donna che abortisce ma anche chi procura l’aborto (il medico) e chi spinge la donna a questa scelta (il padre del bambino). Questo vale anche per la cosiddetta «pillola del giorno dopo»? Anche in questo caso il peccato coinvolge le persone che hanno condiviso, favorito o semplicemente avallato questa scelta?

Lettera firmata

Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale

La pillola del giorno dopo è un preparato di natura ormonale che viene assunto dalla donna dopo un rapporto sessuale non protetto per evitare una eventuale gravidanza.

Per poter fare una valutazione morale fondata bisogna capire qual è il suo meccanismo d’azione: è davvero un contraccettivo d’emergenza, come viene propagandato, o è un mezzo potenzialmente abortivo? Non vogliamo minimizzare le questioni morali connesse con la contraccezione, ma è evidente che un semplice contraccettivo non pone i problemi che pone un mezzo anche solo potenzialmente abortivo. Fino a qualche anno fa l’opinione corrente era che la pillola del giorno dopo fosse in grado di interferire con l’ovulazione se assunta in fase preovulatoria, ma che avesse un meccanismo potenzialmente abortivo se assunta dopo l’ovulazione perché rendeva ostile l’ambiente ormonale a un embrione eventualmente concepito e ne ostacolava il trasferimento lungo le tube e il successivo impianto in utero. L’istruzione Dignitas personae del 2008 rifletteva queste opinioni mediche e al numero 23 ne traeva le logiche conseguenze etiche: anche se non si sa, in un singolo caso, se il concepimento è avvenuto e se una nuova vita è stata soppressa ai suoi inizi, chi ricorre alla pillola del giorno dopo si espone volontariamente alla possibilità di compiere un atto abortivo.

Negli ultimi anni molte associazioni di medici e ginecologi hanno escluso l’effetto abortivo affermando che, se un embrione si è formato, la pillola del giorno dopo non può interferire con il suo sviluppo e lo svolgimento della gravidanza. Queste asserzioni sono sospettate di voler nascondere i dati oggettivi e sono state smentite da diversi studi di segno opposto e, comunque, sino a che non ci sarà una certezza scientifica, corroborata da estese ricerche condotte rigorosamente, sull’assenza di effetti abortivi, vale la regola della cautela: non bisogna agire in modo da mettere a rischio di morte una nuova vita che potrebbe essere iniziata. Certamente, poi, il rischio abortivo aumenta notevolmente con la più recentemente immessa in commercio pillola dei 5 giorni dopo.

Dal punto di vista morale, una donna che assume un farmaco potenzialmente abortivo, anche se poi l’aborto non è avvenuto o non è dimostrabile, ha accettato che un aborto potesse avvenire: si potrebbe parlare di una intenzione abortiva condizionata. È come se la donna dicesse: «Se fossi rimasta incinta, pur di non avere un figlio sono disposta anche a sopprimerlo». Quanto alla responsabilità di altre persone, deve essere valutata caso per caso. Un marito che spingesse la moglie a prendere una pillola di questo tipo ne sarebbe corresponsabile perché coopera ad un atto cattivo non solo chi lo compie o collabora alla sua esecuzione, ma anche chi pone le condizioni necessarie per farlo e anche chi spinge a farlo. Nel caso di un medico, magari di un pronto soccorso, la situazione morale è chiara: non deve prescrivere quella pillola. Dal punto di vista giuridico in Italia la questione è, però, controversa perché la legge 194 sull’aborto ammette l’obiezione di coscienza, ma solo in caso di gravidanza accertata e qui, invece, non si sa se è avvenuto il concepimento. Dovrebbe invocare la clausola di coscienza, anche con il rischio di esporsi a conseguenze disciplinari e giudiziarie spiacevoli. Il problema si pone anche per i farmacisti quando si trovano a smerciare un farmaco che non può servire ad altro che a scopi illeciti.

Parlando ai farmacisti nell’ottobre del 2007, papa Benedetto XVI li invitò a chiedere il diritto alla obiezione di coscienza: «Nell’ambito morale – disse – la vostra Federazione è invitata ad affrontare la questione dell’obiezione di coscienza, che è un diritto che deve essere riconosciuto alla vostra professione, permettendovi di non collaborare, direttamente o indirettamente, alla fornitura di prodotti aventi come fine scelte chiaramente immorali, come ad esempio l’aborto e l’eutanasia».

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