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Lezioni d’Avvento dalla vittima di uno stupro

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~ Erebos CC

David Mills - pubblicato il 21/12/16

Il modo in cui i cristiani parlano del sesso spaventa le persone e le mette in fuga?

A 20 anni, Ruth Everhart è stata stuprata da una gang per ore sotto la minaccia di una pistola. “Ovviamente ero traumatizzata”, ha scritto sul Washington Post. “Ma la cosa più difficile da descrivere – e più duratura – è stata il modo in cui il crimine si è legato a un senso di vergogna sessuale. Mi chiedevo costantemente se avessi in qualche modo meritato di essere stuprata e se lo stupro mi avrebbe rovinata in modo irreparabile”.

La Everhart è un ministro presbiteriano, e un cattolico non sottoscriverebbe tutto ciò che scrive a proposito della Vergine Maria. Le sue argomentazioni non sono sempre coerenti e ama molto più di me i cliché del liberalismo che va per la maggiore. Quello che mi ha colpito nella sua descrizione onesta delle sue lotte è stato l’impatto dell’esperienza che ha vissuto sulla sua capacità di vedere la storia del Natale e come le sia stata poco d’aiuto la cultura cristiana quando era in un momento di grande necessità.

Non sembra vedere la Madre di Dio in modo molto chiaro per un motivo. In Avvento prova “un senso di parentela” con Maria. “So cosa significa essere una brava ragazza la cui vita è stata messa sottosopra da quello che qualcuno ha fatto al suo corpo”. Quel “qualcuno ha fatto al suo corpo” perde il senso dell’“Eccomi, sono la serva del Signore, si compia in me la tua parola”. In altri passi scrive come se Maria fosse un problema.

Molti anni fa, quando ho iniziato a scoprire la Chiesa cattolica, ho raccontato entusiasta ad un’amica la mia prima esperienza nel recitare l’Angelus. Era una protestante convinta, e credevo che avesse una pietà molto tradizionale. Mi ha tolto la parola. Non voleva sapere niente delle cose mariane. Non perché avesse le tipiche obiezioni protestanti, ma perché si era sempre sentita trattata con condiscendenza, data per scontata, ed era quello che vedeva nella storia dell’Annunciazione. Sentiva il “Si compia in me la tua parola” come un “Calpestatemi tutti”.

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La Everhart spiega anche come la faccia sentire la cultura cristiana della purezza, che i cattolici hanno come chiunque altro. Si è chiesta se meritava di essere stuprata e se sarebbe stata rovinata per sempre. “Entrambe le domande sembravano inevitabili. Dopo tutto, qual è l’opposto di essere sessualmente pura? Sostenere un danno irrimediabile. Essere rovinata”. È quello che sentiva che la cultura cristiana le stava dicendo.

Anch’io ho avuto questa impressione. Il modo in cui i cristiani conservatori hanno sottolineato la purezza sessuale – per le migliori ragioni e con una preoccupazione autentica – può dire alle vittime che sono, come si sentiva la Everhart, irrimediabilmente danneggiate e rovinate. Non trovano guarigione e non sentono Gesù nel modo in cui tanti cristiani parlano del sesso.

Due lezioni

Penso che la storia della Everhart e quella delle persone come lei offra due lezioni di Avvento. Nel periodo in cui ci prepariamo a celebrare l’Incarnazione, ci dice qualcosa su come gli altri possono sperimentare la storia che noi troviamo tanto bella e avvincente.

In primo luogo, possiamo rendere troppo facilmente il cristianesimo poco attraente, indipendentemente da quanto siano buone le nostre intenzioni e da quanto ci sforziamo di risultare interessanti. È un mondo caduto, e la legge delle conseguenze non intenzionali ci mina sempre.

Predichiamo la purezza in una cultura che promuove l’impurità, per la quale l’impurità sembra buona, naturale e necessaria come respirare. Spesso per via della paura – e come padre di quattro figli conosco questa paura molto bene – promuoviamo un’idea distorta del bene. Predichiamo il moralismo e il rispetto delle regole e falliamo nel dare ai giovani un ideale avvincente contrario a quello del mondo. Parliamo in modo idealistico della purezza in un modo che fa sì che le vittime di stupro e abusi, e questo include molte persone, si sentano costantemente e irrimediabilmente rovinate.

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In secondo luogo, per alcuni la buona novella sembra una cattiva novella, anche se non per colpa loro o almeno non del tutto. Viviamo in un mondo caduto, e nessuno di noi vede le cose molto chiaramente, come ha indicato San Paolo. Non possiamo assumere, come invece credo che facciamo, che chiunque possa vedere la buona novella come un elemento di guarigione e liberazione.

Perfino la storia dell’Annunciazione e la nascita di Cristo nove mesi dopo possono allontanare la gente da Dio e dalla Sua Chiesa. Le persone sono state così ferite che non riescono a vederne la bellezza. Altre si sentiranno attratte ma sentiranno come se non vi appartenessero, di essere troppo cattive per entrare nella grotta. Sentono di non essere abbastanza buone da pentirsi, e si aspettano il rifiuto.

Mi sembra la lezione più importante delle due. Non sappiamo cosa gli altri vedano o non vedano. Le loro ferite possono essere profondamente nascoste. La lezione d’Avvento per noi è questa: non giudicarli, pregare per loro e amarli. Potremmo dover essere la storia che li porterà dal bambino che giace nella mangiatoia.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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