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Confessioni di un’ingrata

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Dan Taylor-Watt CC

Anna O'Neil - pubblicato il 20/12/16

Il senso della gratitudine e l'importanza di essere grati

Prima del nostro matrimonio, il nostro sacerdote ci ha detto che dovevamo lavorare per mantenere la gratitudine al centro della nostra vita. Gratitudine nei confronti l’uno dell’altro, gratitudine verso Dio per il nostro matrimonio, per la nostra vita, per i figli che sarebbero arrivati, per tutto. Tutto è un dono, e non abbiamo diritto a niente.

Mia madre diceva sempre qualcosa di simile. Il trucco per uno splendido matrimonio, diceva, è che ciascuno dei coniugi sia estremamente generoso con l’altro. Per questo, se una delle parti era incline alla lamentela, si sentiva immediatamente un’ingrata, si vergognava e perdonava la parte responsabile dell’offesa. Anche se la lamentela era giusta, veniva completamente eclissata dalla generosità dell’altro. Come faceva lei a lamentarsi per i calzini sporchi di lui lasciati a terra quando lui era stato alzato tutta la notte per prendersi cura dei bambini con la febbre la settimana prima?

C’è una frase nella Messa che mi colpisce ogni domenica, che mi riporta alla mente la gratitudine proprio mentre sto iniziando a dimenticarla. È quando il sacerdote dice: “È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, renderti grazie sempre e in ogni luogo”. Colpisce perché è davvero semplice. So che è mio dovere ringraziare, ma è sorprendente pensare alla gratitudine come alla “fonte di salvezza”.

È la nostra salvezza? Dobbiamo essere grati? Posso riuscirci anch’io!

È quello che ho pensato l’altro giorno, quando mio marito, mio figlio ed io siamo rimasti coinvolti in un incidente automobilistico piuttosto serio. Il parabrezza si è rotto, c’era un forte odore di fumo e plastica bruciata e mi fischiavano le orecchie.

Mio figlio si è spaventato, ma grazie a Dio nessuno di noi è rimasto ferito. Cinque minuti dopo aver portato mio figlio in un ristorante vicino stava correndo da una parte all’altra facendo amicizia con le cameriere. E io sedevo tremante e pensavo che non avrei mai più dato per scontata la sua salute o la mia, la nostra sicurezza e la mia famiglia.

Una volta passato lo shock, ho perfino iniziato a pensare che la gratitudine sarebbe stata garantita dopo questo incidente. Sarebbe stato più facile che mai ricordare quanto siano fragili le nostre vite e come tutto ciò che abbiamo sia un dono. Dio può dare o prendere qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, e il mio compito, “ringraziare sempre e ovunque”, sarebbe stato facile.

Il paradosso è che la gratitudine non è diventata affatto più facile. Il mio cervello ha ricominciato immediatamente a pensare che posso contare su tutto ciò che ho. Mi sono ritrovata a pensare – ancora con schiena e collo doloranti per l’impatto – che dopo tutto gli incidenti non si verificano così spesso, e che non devo preoccuparmi. Il giorno dopo già avevo perso completamente quell’utilissimo senso della fragilità della vita. Ora ho una macchina distrutta e neanche un grammo di crescita spirituale.

Scommetto che è per questo che è davvero “fonte di salvezza” ringraziare Dio. La gratitudine è un duro lavoro. Ci vogliono un grande sforzo e molta vigilanza per ricordare che tutta la stabilità e la pace che potremmo avere sono più temporanee dell’erba di un prato.

La gratitudine ci salva nel senso che ci costringe a riconoscere costantemente la nostra dipendenza totale da Dio. Dobbiamo essere consapevoli che quella dipendenza spezza l’orgoglio, la rabbia, l’invidia e ogni peccato che si forma per un senso di diritto. Non ci è dovuto niente. Tutto è un dono. Se riusciamo a tenerlo a mente siamo più in grado di ricordare che qualsiasi cosa possa andar male nella nostra vita è comunque nostro dovere e fonte di salvezza “ringraziare sempre e ovunque”. La gratitudine è necessaria in un matrimonio, ed è cento volte più necessaria nel nostro rapporto con Dio.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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