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Medici, trasfusione di sangue e obiezione di coscienza

Vatican Insider - pubblicato il 02/12/16

In un certo momento della storia, sono cominciati ad apparire, di fronte ai medici, pazienti – specialmente legati al gruppo religioso dei Testimoni di Geova – che si rifiutavano (e si rifiutano) di fare trasfusioni di sangue, anche se la propria vita o quella di un figlio minore corre pericolo di vita. 

Alcuni di questi medici hanno, quindi, chiesto aiuto all’etica per sapere come agire davanti a questo problema. La questione aveva infatti le caratteristiche di un vicolo cieco: da una parte la libertà religiosa è un diritto garantito a tutti gli esseri umani come qualcosa di intoccabile (a meno che non tocchi l’ordine pubblico), ma anche la vita è sacra, essendo condannato il suicidio. 

Per questo, Don Estêvão Bettencourt, monaco benedettino del Monastero di São Bento, Rio de Janeiro e dottore in Teologia, in modo saggio, ha risposto alla questione negli anni Settanta. Dato che la sua risposta è ancora oggi pienamente valida, è riportata nei suoi punti più significativi. 

Sostiene: «Il caso in questione ci pone davanti a un conflitto tra due precetti della legge naturale: il rispetto della coscienza altrui, da una parte, e dall’altra, il salvare la vita, ripudiando il suicidio». 

«Può quindi il medico applicare il trattamento adeguato –unico modo per salvare la vita in questo caso – anche in contrapposizione ai principi religiosi che il suo paziente ha diritto di seguire?» 

«La risposta deve essere positiva, ossia, favorevole all’intervento del medico: tra il permettere un suicidio (che può essere evitato) e violare la libertà religiosa, il medico può (e si dovrebbe dire: deve) scegliere per la cura, e quindi l’evitare il suicidio». (Pergunte e Responderemos n. 141, settembre 1971, p. 426). 

Oggi, in ambito civile, la problematica è chiara nel campo della medicina e del diritto: ambedue autorizzano la trasfusione senza alcun problemi in casi urgenti (e solo in questi casi), anche contro la volontà della persona ammalata o dei genitori di un bambino ammalato di ricevere sangue per sopravvivere. 

I medici e gli altri operatori sanitari devono agire con la coscienza tranquilla –senza timore di peccato – in funzione della salvezza della persona umana, sempre preziosa agli occhi di Dio, Signore della vita e non della morte. 

Ci si domanda allora: ma il fondamento biblico che allegano i testimoni di Geova? Ora, i presunti fondamenti biblici sono tratti dall’Antico Testamento (Gen 9,4; Lv 7,26-27), e proibivamo di mangiare sangue animale, ma non erano – ne potrebbe essere – contro la trasfusione di sangue, perché questo trattamento non esisteva in quell’epoca. 

Oggi, anche gli ebrei ortodossi che aderiscono strettamente all’Antico Testamento, nonostante non bevano o mangino sangue di animali, permettono tranquillamente la trasfusione di sangue. Da qui la domanda: chi può avere la pretesa di interpretare meglio l’Antico Testamento degli stessi ebrei? 

E per di più, nel Nuovo Testamento, lo stesso Signore Gesù comanda di bere il suo sangue (cf. Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,19-20 e 1 Cor 11,23-25), e, ancora, chi non lo beve, non può avere la vita eterna (Gv 6,54-57) e, in linea generale, i cristiani possono mangiare di tutto quello che gli è offerto (cf. 1 Cor 10,25-27). Il passo di At 12,28-29 richiamato per dire che anche la fede Cristiana proibisce di mangiare o bere il sangue degli animali è indicazione pastorale, ha come fine più il non scandalizzare i deboli nella fede con il consumo del sangue contenuto nella carne offerta agli idoli, che non il sangue in se stesso (1 Cor 8,1-13). 

Inoltre, il vero fedele a Dio non disprezza, ma valorizza il lavoro del medico, in quanto la stessa Bibbia raccomanda: «Onora il medico per le sue prestazioni, perché il Signore ha creato anche lui. Dall’Altissimo infatti viene la guarigione, e anche dal re egli riceve doni. La scienza del medico lo fa procedere a testa alta, egli è ammirato anche tra i grandi». Poi raccomanda al malato di pregare e offrire sacrifici a Dio, ma che non lasci di ricorrere «pure al medico, perché il Signore ha creato anche lui: non stia lontano da te, poiché c’è bisogno di lui» (Sir 38,1-3.12). 

* Vanderlei de Lima, eremita nella diocesi di Amparo, è filosofo con specializzazione in Bioetica e con il diploma in Teologia Morale presso la Scuola “Mater Ecclesiae” della arcidiocesi di S. Sebastião a Rio de Janeiro, Brasile. 

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