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5 cose sulla guarigione che ho imparato da questa antica arte giapponese

kintsugi

Catholic Link - pubblicato il 10/11/16

di Ruth Baker

Ho sentito parlare per la prima volta del kintsugi solo qualche anno fa. Ed è subito diventato il modo con cui preferisco spiegare i concetti della guarigione e della redenzione. Come spiegato nel video qui sotto, il kintsugi è un’antica arte giapponese per riparare degli oggetti.

Pensate ad un vaso spaccato. Non lo buttate via perché rotto, ma riempite le crepe con una resina d’oro rinforzato. Le crepe restano, ma acquistano bellezza. L’incrinatura viene onorata ed accettata come parte della storia del vaso, che diventa di grande valore, unico, più bello.

Non ci vuole molto per applicare questo principio alla nostra vita e alla nostra fede. Il paragone diventa abbastanza ovvio. Ma penso che valga la pena andare un po’ più in profondità. Una volta un amico mi disse che il fatto che i cristiani abbiano croci ovunque, nelle chiese e nelle proprie case, lo lasciava alquanto perplesso. “Certo”, mi disse, “se Gesù dovesse tornare, forse non vorrà ricordarsi della Sua esecuzione?” Il suo punto era: perché noi cristiani siamo così concentrati sulla Croce? Perché glorifichiamo qualcosa che è stato lo strumento dell’umiliante morte del nostro Dio?

Capivo il suo punto di vista, ma provai a spiegargli che non teneva affatto in considerazione la Resurrezione. La Croce non fu un’umiliante sconfitta, bensì lo strumento per raggiungere la vittoria.

È facile a capirsi, da un punto di vista astratto, soprattutto se siamo cresciuti con questo concetto. Ma applicarlo nelle nostre vite è impresa ben più ardua, e richiede una buona dose di coraggio.


1. “I traumi non possono essere rimossi”

Il kintsugi ha una consapevolezza: i traumi non possono essere rimossi, per citare le parole di Nerdwriter nel video. Una ceramica rotta non può in alcun modo tornare allo stato originario. Non si può tornare indietro.


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Questa è forse una delle parti più dure di qualsiasi processo di guarigione: accettare che le cose non possono tornare come erano prima. Probabilmente accettare questo principio è la battaglia più grande che si debba affrontare nella guarigione. La battaglia più lunga, estenuante, con più rabbia e angoscia. Ma col tempo, accettare questa realtà ci permette di avanzare nel processo di guarigione. Il kintsugi non vede un problema nella natura irreversibile della rottura. Né lo vede Dio, nelle nostre vite. Dio “scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini” (Benedetto XVI).

 2. “La guarigione richiede trasformazione”

La ceramica lesionata in cui agisce il kintsugi non può essere riparata senza trasformazione. Nelle nostre vite, questo può sembrare disperatamente ingiusto. Perché dobbiamo essere trasformati, se vogliamo essere guariti? Perché dobbiamo sottoporci ad un processo che non abbiamo richiesto, soprattutto se non abbiamo colpe nel trauma che abbiamo vissuto? Ho avuto, più volte nella mia vita, questo stesso pensiero. “Perché succede questo? Non l’ho mai chiesto!” 

La risposta a cui sono giunta è che sì, il trauma è doloroso e non augureresti mai a nessuno. È terribile. Ma non è la fine. Sono riuscita a superare le mie difficoltà accettando di essere trasformata, piuttosto che torturarmi con i “perché?”.

 3. Il kintsugi ci ricorda che non siamo spazzatura

Considerate per un momento la totale inutilità di una ciotola rotta. Non ha più la sua funzione, la sua stessa ragion d’essere. Nulla vieterebbe di gettarla via. Ma l’arte del kintsugi le permette di essere ancora considerata di valore. Anzi, di più valore, perché è stata riparata con dell’oro.

Dio vede lo stesso in noi. Potremmo sentirci inutili, senza uno scopo, oppure distrutti al punto da non poter più essere riparati. Ma Dio non ci vede così. Lui non vede la nostra funzionalità; Lui vede il nostro valore. Lui non vede dei cocci da buttare, ma delle parti di noi che Lui metterà insieme, con amore e maestria. E quando lo fa, utilizza qualcosa di ben più prezioso dell’oro.

 4. Vergogna vs Vittoria

Per tornare al punto di prima, perché glorifichiamo la Croce? Perché la innalziamo? Perché sappiamo che è su quella Croce che la morte fu distrutta, grazie alla Risurrezione che ne seguì. Il kintsugi non solo evidenza le crepe della ceramica, ma le rende meravigliose.

Spesso, quando soffriamo, la vergogna mette radici dove prima era il dolore. Questo vale sia per la vergogna per gli errori che abbiamo commesso, che per la vergogna che consegue dalla sofferenza inflitta da altri. La sentiamo, e ci soffoca. Ma se vi dicessi che quella vergogna non ha motivo di esistere? Che non avrà l’ultima parola? Se vi dicessi che le nostre ferite devono essere esaltate, perché (e soltanto perché) attraverso Cristo possono diventare strumento di vittoria? Quando abbiamo delle battaglie, ricordiamoci che la vittoria appartiene a noi. In Cristo, attraverso la Sua misericordia e la Sua guarigione.


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 5. Felice colpa!

Ricordo quando per la prima volta ascoltai attentamente e compresi le righe dell’Exsultet, canto liturgico cantato la notte di Pasqua nella solenne Veglia pasquale. Per un attimo non ero sicura di aver sentito correttamente:  “Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!” Davvero era necessario il peccato di Adamo? Felice colpa? Che significa tutto questo?

Beh, significa che sebbene Dio non voglia che noi soffriamo, Lui usa il nostro dolore per il nostro bene, se noi lo permettiamo. Mi piace pensare a Lui come all’esperto architetto delle nostre vite, della Storia.

Per Dio niente è da buttare. Neanche i peccati (nostri o altrui). E non soltanto Lui non li scarta, ma li usa per donarci la guarigione. Stravolge i nostri sbagli e li usa per realizzare lo strumento della nostra redenzione. Dal decaduto e disobbediente genere umano, Lui ha generato il Suo stesso figlio. Perché si è rifiutato di credere che i nostri sbagli avessero l’ultima parola. Si è rifiutato di vedere l’umanità come immondizia, come qualcosa da gettare via.

E Lui rimodella i nostri cuori spezzati con il prezioso sangue di Suo figlio.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]
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