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Perché tanto rumore sulla Comunione ai divorziati risposati?

The groom and bride at the wedding ceremony in church

© Petr Jilek/SHUTTERSTOCK

Catholic Link - pubblicato il 11/10/16

di Garrett Johnson

Avrete sentito o letto qualcosa sulla questione dell’Eucaristia per i divorziati risposati. Spesso, però, non c’è sufficiente chiarezza su ciò che è alla base di tutta la questione.

Perché le coppie risposate non possono ricevere la Comunione? È una specie di punizione perché la gente ha divorziato? Chi riceve la Comunione pensa di essere migliore degli altri? Che ne è della misericordia?

Affrontiamo la questione un passo per volta.

Ricevere l’Eucaristia

Il Catechismo è chiaro al riguardo in tre punti:

  1. Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel sacramento dell’Eucaristia: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita” ( ⇒ Gv 6,53 ). (CCC, n. 1384)

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  1. Per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento così grande e così santo. San Paolo esorta a un esame di coscienza: “Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” ( ⇒ 1Cor 11,27-29 ). Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione (CCC, n. 1385).
  1. Proprio per la carità che accende in noi, l’Eucaristia ci preserva in futuro dai peccati mortali. Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da lui con il peccato mortale. L’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali. Questo è proprio del sacramento della Riconciliazione. Il proprio dell’Eucaristia è invece di essere il sacramento di coloro che sono nella piena comunione della Chiesa (CCC, n. 1395).

Analizziamo ora brevemente la questione del divorzio.

Il divorzio è un peccato?

Il Catechismo afferma che “il divorzio è una grave offesa alla legge naturale… Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno” (CCC, n. 2384).

Ci sono comunque situazioni in cui la Chiesa ritiene il divorzio giustificabile: “Se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale” (CCC, n. 2383).


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Risposta? Il divorzio non è necessariamente un peccato. Ci sono (pochi) casi in cui è giustificabile o perfino necessario.

Risposarsi

E allora qual è il problema con la Comunione? Il problema sorge quando la persona divorziata si risposa senza aver prima ottenuto la nullità del primo matrimonio.

Cristo è dolorosamente chiaro al riguardo: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei” (Mc 10, 11-12).

Conclusione? Se la coppia divorziata è risposata civilmente, l’unione non può essere riconosciuta come valida, e questo va contro gli insegnamenti di Cristo.

Cathy Caridi, avvocato canonico statunitense, spiega:

“In altre parole, la società presume ragionevolmente che marito e moglie abbiano rapporti sessuali. Di conseguenza, la Chiesa considera il rapporto tra un cattolico e un secondo coniuge adultero, se il primo coniuge è ancora vivente. E visto che l’adulterio rappresenta un grave male morale, un cattolico che vive in questa situazione non può ricevere l’Eucaristia. Per citare ancora una volta il Catechismo, ‘l’atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale’” (n. 2390).

E allora? Emergono tre questioni:

1. Il benessere spirituale della persona

Ci si potrebbe chiedere se questa regola di non ricezione dell’Eucaristia non sia una sorta di punizione se non addirittura uno sfruttamento dell’individuo che soffre.


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Padre Paul Keller, O.P., afferma quanto segue:

“Chiedersi una cosa del genere suggerisce che la Chiesa non ha ruolo nel difendere i fedeli dalla condanna che attirano su di sé, come avverte San Paolo. Se la Chiesa rimanesse passiva e permettesse la Santa Comunione a una persona non in condizioni idonee, sarebbe passibile di giudizio per un tipo diverso di sfruttamento: il fallimento nell’evitare che i suoi figli agiscano male e pecchino, così come il fallimento nel custodire fedelmente e nel dispensare i sacramenti. La vigilanza della Chiesa non è sfruttamento né manipolazione; è pura e semplice carità. È la preoccupazione della madre a che i suoi figli non ingeriscano la medicina sbagliata, perché non diventi un veleno”.

2. La necessità di mantenere la reverenza nei confronti dell’Eucaristia

La Caridi nota quanto segue:

“Per salvaguardare la dignità del sacramento, la Chiesa non perdonerà mai la recezione dell’Eucaristia da parte di un cattolico che persiste in un’unione adulterina. Se quindi un cattolico divorziato e risposato desidera ricevere l’Eucaristia, deve prima pentirsi del proprio adulterio e ricevere l’assoluzione sacramentale. Ma per essere davvero addolorato per i propri peccati, un cattolico deve essere deciso ad evitarli in futuro. E quindi l’adulterio deve finire. È semplice”.

3. La necessità di evitare lo scandalo pubblico

Cosa dire dei casi in cui una coppia ha accettato la richiesta della Chiesa (CCC, n. 1650) di vivere in “completa continenza”, intendendo che i coniugi hanno deciso di continuare a vivere insieme (molte volte per il bene dei figli) ma di farlo come fratello e sorella, ovvero senza più rapporti sessuali?

Visto che una scelta simile ricade nella categoria dell’intimità più privata, la maggior parte o tutti i parrocchiani ignoreranno quella decisione, ed è qui che emerge la possibilità dello scandalo pubblico: cosa penseranno gli altri fedeli vedendo una coppia risposata ricevere la Comunione (ignorandone la decisione)?


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Assumendo che i cattolici risposati non parlino apertamente della propria scelta, la Caridi spiega:

“C’è un estremo bisogno di tatto e diplomazia in situazioni come queste, da parte sia dei cattolici risposati che del loro pastore. In base alle circostanze, potrebbe essere preferibile per questi cattolici astenersi dal ricevere la Santa Comunione in Messe affollate, in cui la loro azione può essere vista facilmente e fraintesa totalmente dagli altri membri della congregazione. Un parroco comprensivo può compiere uno sforzo per assicurare che questi parrocchiani possano ricevere l’Eucaristia in modo più discreto.

È impossibile convalidare il proprio matrimonio?

Padre Steve Flynn ha incoraggiato di recente la gente a scoprirlo: “Alcuni non hanno controindicazioni a convalidare il proprio matrimonio nella Chiesa cattolica, ma non si sono mai accostati alla Chiesa per chiedere aiuto. In rari casi, ho sentito di coppie che hanno avuto un’esperienza negativa e hanno lasciato perdere. Se intendete vivere insieme fedelmente come marito e moglie per il resto della vostra vita e desiderate il sacramento del matrimonio, non c’è realtà o scusa che vi dovrebbe fermare dall’accostarvi alla Chiesa per convalidare il vostro matrimonio. A volte la gente è paralizzata dall’incertezza. Contattate la vostra parrocchia. Vi potranno aiutare a rispondere a tutte le domande che avete. Chiamate e chiedete”.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE

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