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Perché è difficile amarsi se nostra madre non ci ha amato

Portrait of a mother with her 3 months old baby, top view point

© Alena Ozerova / Shutterstock

Silvana De Mari - pubblicato il 03/10/16

Noi non possiamo essere felici, è tecnicamente folle la sola idea, se non amiamo noi stessi. Noi siamo noi stessi tutti i giorni, non a giorni alterni. Moltissime persone, vanno a letto la sera, nella speranza che durante la notte passi la fata madrina e li trasformi in qualcun altro; non succede mai. Quindi se mi odio e la mia unica opzione di felicità è che di notte passi la fata madrina e mi cambi, è evidente che sono destinata all’infelicità permanente. Il sogno della fata madrina che arriva di notte con la zucca e i sorci a cambiare la vita, è il sogno di tutti coloro che si odiano ed è il nucleo centrale di un’infinita serie di reality, dove una squadra di esperti trasformano qualcuno in qualcun altro. C’è la squadra che fa perdere 20 chili, oppure 50, quella che trova il vestiario giusto, quella che azzecca pettinatura e trucco e c’è anche la squadra fatta da dentista e chirurgo.

Il fatto che, studiando sei ore al giorno tutti i giorni ci si possa laureare, e laurearsi certo che cambia la vita, è un concetto che nei reality non è mai presente. Anche il concetto che, lavorando con intelligenza, coraggio e passione si creino prosperità e benessere, nel reality manca. Sul sogno di guardarsi allo specchio e vedere un’altra persona, perché è passata la fata madrina, è basato lo shopping compulsivo e un’altra gravissima tossicodipendenza che è la chirurgia estetica seriale, dove si cambia il colore della pelle, i connotati, l’età e, perché no?, il sesso, e anche la specie (interventi per somigliare a un gatto o a un cane), così che l’inno all’impulsività non si fermi nemmeno davanti alla psicosi.

L’informazione, che ad assecondarle le psicosi peggiorano, non sembra interessare e quindi me la tengo per me. Noi siamo la prima persona, il primo oggetto del creato che incontriamo sulla nostra strada; la seconda è mamma. Mamma è la signora che c’è dall’altra parte del nostro cordone ombelicale. Mamma, prima di essere una persona, è stata un posto. Impariamo a riconoscere la sua voce e a esserne rassicurati al quinto mese della nostra presenza intrauterina, e per tutta la nostra vita quando la sentiamo fabbrichiamo ossitocina. Essere separati dalla propria madre è sempre un lutto gravissimo, anche se avviene nelle prime ore.

Per noi è molto facile amarci, se mamma ci voleva bene e ci stimava e aveva fede in noi. Se mamma tutto questo non l’ha fatto, per noi è difficile amarci. Difficile. Per qualcuno è un po’ difficile, per altri dannatamente difficile. Difficile, non impossibile. Non è mai impossibile. Noi siamo come una casa. Se le fondamenta sono solide e belle, è facile che la casa sia forte e ben costruita: facile, non certo. È possibile che su fondamenta solide poi si costruiscano muri malati. Non è vero che tutti i nostri problemi nascano nella nostra infanzia. Non è vero che gli unici responsabili siano sempre i nostri genitori. Può anche succedere che le fondamenta siano fragili e storte e che su queste fondamenta si costruiscono muri che non possono che essere instabili, e allora per stabilizzarli si costruiscono meravigliosi archi rampanti che si intrecciano insieme ai muri così da creare una costruzione straordinaria, unica e fantastica.

Il non amore dei nostri genitori nella nostra prima infanzia, l’essere stati abbandonati in luoghi privi di cure è un danno biologico primario, che ci espone alla fragilità cognitiva e ancor di più a quell’emotiva. Abbiamo avuto un esempio terribile quando è crollato il muro di Berlino e si sono spalancate davanti ai nostri occhi le realtà degli orfanotrofi sovietici, ma soprattutto di quelli rumeni. Eppure persone uscite dalle situazioni più aberranti riescono a costruire le loro case. La forma non è mai lineare, questo è vero, ma archi e contrafforti rendono la costruzione stabile e ovviamente unica.

IL BLOG DI SILVANA DE MARI

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