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Quando sei troppo ferito per pregare, lascia che sia lo Spirito a gemere

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Benoit Daoust/Shutterstock

Joanne McPortland - pubblicato il 03/10/16

Non possiamo sfuggire dall'essere offesi o dall'offendere gli altri, ma possiamo permettere a Dio di far nascere in noi la misericordia

Chiedi allo Spirito Santo di aiutarti quando non riesci a pregare per qualcuno che ti ha fatto un torto –  54 modi per essere misericordiosi durante l’Anno Giubilare della Misericordia

Ricevere una ferita profonda da qualcuno è un colpo a livello fisico. Il coniuge se ne va. Un figlio adulto taglia i ponti per rabbia. Si perde il lavoro all’improvviso e senza giustificazione. Qualcuno diffonde una voce terribile e gli amici voltano le spalle. La ferita può non essere così grande sulla scala dei disastri personali, ma è reale e si sanguina.

Ci si sente presi a calci in faccia, schiacciati da un autobus. Manca il respiro.

La preghiera sembra l’ultima cosa possibile. Implorare che la misericordia di Dio porti via il dolore e aggiusti ciò che è sbagliato sembra attanagliare una gola soffocata dalle lacrime. Si potrebbe riuscire a mormorare un “Dio, aiutami!” o a recitare una decina del rosario, ma le parole sono come polvere in bocca.

In mezzo alla devastazione, troppo feriti per rivolgere il grido più egoista chiedendo l’attenzione di Dio, l’appello a pregare per i nostri nemici sembra uno scherzo di cattivo gusto. Non ci riusciamo.


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È peggio – se è possibile che ci sia una cosa peggiore – quando non riusciamo a fare a meno di sentire come se Dio fosse quel Qualcuno che ci ha inflitto quella grande ferita. Un figlio muore. Riceviamo una diagnosi nefasta. Perdiamo tutto ciò che abbiamo o qualcuno che amiamo in un’“azione di Dio” – una tempesta, un incendio, un terremoto. Come possiamo implorare la misericordia da Dio quando pensiamo che sia Colui che ci ha colpiti? E come possiamo pregare per il nemico che ci ha provocato la ferita quando quel nemico è Dio? Come Giobbe sul suo mucchio di letame, tutto ciò che riusciamo a fare è gemere.

Ecco un grande segreto: anche il nostro gemito è una preghiera. Il lamento senza parole è un segno profondo e istintivo della nostra creaturalità, il riconoscimento spontaneo del fatto che siamo mortali, vulnerabili, non Dio. Il gemito è la più umana delle preghiere.

Molti dei salmi sono gemiti messi in musica:

“Sono stremato dai lungi lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, irroro di lacrime il mio letto” (Salmo 6, 7)

Afflitto e sfinito all’estremo, ruggisco per il fremito del mio cuore” (Salmo 38, 9)

E quella preghiera, che ci crediamo o meno, viene ascoltata. Nelle Scritture, impariamo che il gemito del suo popolo volge il cuore di Dio alla guarigione e al ristoro – anche quando abbiamo provocato noi stessi la ferita per stupidità e peccato. I salmi di gemito sono inframmezzati da preghiere di lode e ringraziamento:

“Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe” (Esodo 2, 24)

“Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio” (Salmo 42, 12)

E allora andate avanti e gemete. Gemete con forza, chiedendo misericordia e guarigione, e (se potete) un maggiore conforto di quello offerto dai salmi. Quando siamo feriti troppo profondamente per gemere, c’è Chi geme con e per noi: lo Spirito Santo, il Consolatore, il nostro Avvocato. San Paolo scrive: “Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Romani 8, 26).


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Non serve che prendiamo una decisione consapevole di invocare lo Spirito, perché nel Battesimo e nella Confermazione lo Spirito è già al lavoro in noi e per noi. Non solo in e per noi, ma come ha scritto Paolo ai romani, anche in e per tutto il creato: “Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Romani 8, 22-23).

La creazione, ci ricordano ogni ferita e ogni ingiustizia, è stata resa soggetta alla Caduta. Tradimento, perdita, malattia, disastro, morte – tutte queste grandi ferite sono un sintomo della nostra natura spezzata. Siamo feriti e ci feriamo a vicenda, ma in tutto questo lo Spirito di Dio ci ricrea, modellandoci perché possiamo portare il peso della misericordia e della grazia. Questo coro di gemiti è la preghiera del grande parto, e noi – e i nostri nemici – saremo guariti, confortati, e rivivremo se non opponiamo resistenza ai dolori del parto.

Il suggerimento di questa settimana per praticare la misericordia nell’Anno Giubilare è un promemoria a lasciar operare lo Spirito. Non dobbiamo far finta di non soffrire, ma ci viene chiesto di ricordare che soffre anche chi ha provocato la ferita. Possa Dio trasformare i nostri gemiti in gioia nel mondo che verrà.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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