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Hanno vinto loro! 3 emozionanti storie di atleti italiani vincenti alle Paralimpiadi

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 20/09/16

Così Zanardi, Vio, Legnante hanno sconfitto la loro disabilità e trionfato a Rio

Da Federico Morlacchi, argento nel nuoto, che ripete «non so più nemmeno cosa sono io. Anzi si, sono Federico!», a Francesca Porcellato, bronzo nel “Time trial”, specialità dell’handbike, la bicicletta spinta solo con le mani, che dedica la sua medaglia al papà che non c’è più. «Ma ha spinto con me durante la gara!». Fino a Giancarlo Masini che non riesce a trattenere le lacrime quando gli dicono che la sua fa­tica è di bronzo nella categoria C3 sempre della handbike. Pian­ge, piange a dirotto. «Tre anni fa ero in rianimazione, ora sono qui sul podio. Quando sono in bici, io sono libero. La mia disabilità esiste».

Sono alcune tra le storie che vi faranno rabbrividire per la tenacia, la forza, le emozioni che emanano. Grandi uomini prima ancora che atleti. Fanno parte della squadra italiana presente alle Paralimpiadi di Rio, le olimpiadi per i diversamente abili. Ed hanno agguantato nelle rispettive discipline i gradini più alti del podio. Vittoriosi fuori e dentro dal campo di gara.

La Gazzetta dello Sport (15 settembre) racconta tre di queste storie di successi incredibili, inattesi, insperati, dopo che a questi atleti la vita è cambiata per sempre, per un incidente, una malattia.

ZANARDI: DAREI LA VITA PER MIO FIGLIO

L’ex pilota di Formula Uno Alex Zanardi ha vinto l’oro nella handbike, Campio­ne nella strada e nella comuni­cazione, racconta alla Gazzetta dello Sport (15 settembre). «Ho tante dediche, a mia mamma che mi ha messo al mondo, a mia moglie Daniela che è vicino a me a mio figlio, darei la vita per lui. Ma siccome sono ancora un ragazzino, ho tanti progetti e qualche soddisfazione ancora me la voglio togliere, dedico questa medaglia a Tamberi. Un bacio metaforico a Gianmarco, gli dico sei forte e ti rifarai dalla botta che hai preso prima di Rio.

“HO VINTO SUPERANDO L’AGONIA”

Alex vuole ringraziare «tutti quelli che mi hanno messo a punto un mezzo incredibile, come Gian Paolo Dallara, tutte eccellenze. I miei sponsor che mi hanno permesso di arrivare qui, con un programma dettagliato, ma sempre nel lecito. Perché ragazzi, anche lo sport paralimpico cede alla tentazione del doping… Io in questa gara sono andato vicino all’agonia, forse l’ho superata. A venti anni non arrivi mai all’agonia, alla mia età può capitare. Non so quanta energia mi è rimasta dentro ma intanto questa è presa».

LA “RAGAZZA MAGICA” DELLA SCHERMA

Beatrice Vio è invece il prototipo della “

” cantata dal suo idolo Lorenzo Jovanotti. Proprio quella canzone Bebe, come la chiamano ormai tutti, ha scelto per caricarsi prima della finale alle Paralimpiadi, in cui ha sconfitto nella gara di fioretto la cinese Jingjing Zhou. «Ero molto agitata, non riuscivo a tirare bene, negli ultimi giorni facevo proprio schifo – ha confessato con schiettezza, meda­glia in mano perché al collo è pesante – Allora con la mia compagna di stanza Andreea Mogos abbiamo deciso di fare una serata Jovanotti, pop corn, divanetti sul balcone. Abbiamo cantato come pazze due ore e scaricato la ten­sione».

LA MENINGITE NEL 2008

Poi il suo cammino è stato tutto in disceso fino alla vittoria della medaglia d’oro. Ammette di aver vinto timori e paure per trasformare il 14 settembre, giorno della vittoria, in quello più bello della sua vita. E lo è stato per lei, ma anche per tutte le persone che in questi anni – dal 2008, quando una meningite fulminante le ha tol­to avambracci e gambe sotto il ginocchio – hanno iniziato a conoscere questa 19enne di Mo­gliano Veneto, scherzando con lei, vivendo la vita come lei, im­parando tanto grazie a lei.

IN TOUR CON JOVANOTTI

Anche Jovanotti, passato da essere colonna sonora di tutti i giorni ad amico vero (insieme a New York sono andati nelle scuole per raccontare le loro storie, si scambiano messaggi social e lui ha scritto una strofa per Art 4 Sport, l’associazione di Bebe), ha fatto un tifo sgolato per «la sua sorellina», scanden­do le tappe di questa avventura a suon di tweet.

“PER LA MIA FAMIGLIA!”

«Ci sono tante persone che mi hanno portato fin qui, è stato bellissimo, alla fine erano tutti esaltati. Mi sembrava di averli tutti dentro la divisa, nella ma­schiera, avevo con me tutte le persone che mi hanno aiutato. L’unica cosa che volevo fare era correre dalla mia famiglia, per gridare che avevo vinto».

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L’ATLETA DEI RECORD

Da Londra a Rio: uno splendido bis d’oro per Assunta Legnante. È l’oro più bello della sua seconda vita, quella del buio. Lei che ora è la più grande di sempre sulle pedane paralimpiche. Non solo per l’Italia. Nessuna come lei. L’oro nel getto del peso, categoria dei “visually im­paired”, che ha accorpato atleti ipovedenti e ciechi, come lei, la pone su un gradino superiore a tutte e a tutti. Anche per come è venuto: lottando, soffrendo, credendoci, con il male di schiena a trafiggere il corpo, ma non la testa.

IL “BUIO” NEL 2011

Assunta è uno splendido esempio di «olimpica paralimpica»: nel 2008, quando ancora la vista c’era, ma la stava cominciando a tradire, era a Pechino 2008, ma poteva essere già ad Atene, se quel glaucoma congenito non avesse spinto alla cautela il Coni. Poi il buio che arriva nel 2011. Nel marzo successivo, po­chi mesi prima di Londra decide: «Torno a gareggiare», annuncia. In poco tempo fa le misure per Londra. Stravince lì, in due Mondiali e due Europei.

“QUANDO NON VEDETE LA LUCE…FATE UN PASSO!”

Ha assaggiato Rio nel lancio del disco (quarta). Poi la medaglia più bella. Grande soddisfazione per la sua allenatrice, Nadia Checchini, che l’accompagna, ma soprattutto per chi è a casa: «I due bimbi che vivono con me, Michael e Nicole, figli del mio compagno Paolo, mi avevano chiesto di comprare una medaglia. Ecco, l’ho vinta». Con un messaggio a chi vive di paure: «Non mollate, anche quando non vedete la luce, fate un passo. La troverete».

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