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“The Young Pope”? Una occasione persa

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 06/09/16

Presentata a Venezia la serie di Paolo Sorrentino su un immaginario papa Pio XIII

E’ stato presentato nei giorni scorsi la serie televisiva “The Young Pope” di Paolo Sorrentino a Venezia, al Festival del Cinema. Un cast pazzesco da Jude Law a Diane Keaton, passando per Silvio Orlando. Bellissima fotografia, bella ricostruzione di Roma, del Vaticano. Insomma un gran prodotto. Ma. Per il “ma” lasciamo la parola a Don Luca Pellegrini, il critico cinematografico della Radio Vaticana. Intervistato dal Corriere della Sera

«Paolo Sorrentino è un grande regista, sappiamo quanto ami le contraddizioni del mondo, la grande bellezza e la grande bruttezza, la vecchiaia e la giovinezza. Qui si confronta con le contraddizioni della Chiesa. Lo ritengo in buona fede, non mi interessa se sia credente o meno: ma perché fare un film su un Papa così intransigente e vendicativo, ora, mentre papa Francesco si appresta a canonizzare Madre Teresa, e va in una direzione opposta, quella del dialogo e della tolleranza? Ha un senso o è soltanto un’operazione mediatica? Il Papa non può essere questo».

Nella serie di Sorrentino, anzi in quello che lui considera un film di 10 ore il Papa si rivolge ai fedeli dopo l’elezione con parole di ghiaccio: io sono servo di Dio, non vostro.

«È sbagliato, il Papa è un mediatore, noi uomini incontriamo Cristo attraverso la mediazione della Chiesa». – spiega don Luca – Ma è un altro, per lui, l’errore centrale: «Ce n’è uno gravissimo. Non è verosimile che un Papa induca a rompere il sigillo sacramentale della confessione chiedendo a un cardinale di raccontargli i peccati degli altri cardinali». Il critico trova poi «macchiettistico e ripetitivo continuare a insistere sugli scandali della Curia». Però esistono. «Nessuno li nasconde. A fronte di un prodotto confezionato in modo sublime, nello stile e nella drammaturgia, si omette di ricordare come il cammino della fede si fondi anche sul dubbio e sul triplice tradimento di San Pietro, di colui che la Chiesa l’ha portata sulle spalle».

Un Papa che ci lascia interdetti, specie oggi che c’è Francesco aggiungiamo:

A un certo punto il Papa dice a uno dei suoi collaboratori di non credere in Dio, salvo aggiungere subito dopo che sta scherzando. Una battuta lecita? «È uno dei momenti topici del film, ma poco verosimile per ogni credente». Papa-Law sogna la sua prima omelia, in cui l’inconscio gli fa dire quello che pensa, dal diritto alla masturbazione e all’aborto, per arrivare alla libertà sessuale. «I sogni è utile farne per vederli fallire, e perché il loro fallimento ci serva d’insegnamento. Lo scrive Proust». Un Papa americano che mangia poco, la mattina si limita a sorseggiare la Coca-Cola al gusto di ciliegia che si vende in Usa. Per Pellegrini è «un atteggiamento che strizza l’occhio alla moda del momento, sembra quasi vegano».

Ma cosa dice il noto regista? Cosa ha spiegato delle sue scelte artistiche durante la lunga e applauditissima conferenza stampa a Venezia?

«Spero che in Vaticano abbiano la pazienza di vedere la serie fino in fondo. È un lavoro che affronta con curiosità e onestà, senza sterili provocazioni o pregiudizi, fin dove può, le contraddizioni, le difficoltà e le cose affascinanti della Chiesa». Se gli si domanda quali siano queste ultime, però, svicola: «I lati positivi della Chiesa sono talmente tanti che in mezz’ora non si possono raccontare». Quello che viene raccontato, invece, è una sorta di “thriller” incentrato sul potere temporale e spirituale, dove si parte dal solito cliché di una “cupola” di cardinali bolsi e maneggioni, convinti di poter manovrare il giovane capo della Chiesa, che si rivelerà invece decisionista e accentratore, vendicativo e scaltro, ironico e incomprensibile (Avvenire, 3 settembre)

Insomma Sorrentino non vuole fare la fatica di capire cosa sia davvero la Chiesa, quali siano i rapporti e i legami interni della Curia, tra il Papa e gli altri pastori della cattolicità. Insomma restare sui cliché paga: lotte di potere, intrighi, disprezzo per i sacramenti. Così non va.

Un uomo che considera i riti l’unico modo «per mantenere l’ordine terreno» ma che andrà alla ricerca di collaboratori fidati tra persone oneste e di fede. Pare innamorato della Chiesa ma è capace di far tradire il segreto della confessione a un frate per raggiungere i suoi scopi. […] Impone rapporti formali ai collaboratori e fuma in continuazione, prega Dio ma odia la diplomazia a rischio di traumatizzare i fedeli. Tanto da far pensare di correre ai ripari il cardinale Voiello, intrigante e affarista, tifoso del Napoli capace di strappare sorrisi senza però essere una macchietta, anzi spiazzando anche lui con insospettate aperture all’amore per il prossimo. Anche se promette risvolti noir. Alla fine, però, Lenny-Pio XIII si rivela un uomo con seri problemi affettivi. Abbandonato in un istituto dai genitori a sette anni, ricerca la figura materna nella volitiva suor Mary (Diane Keaton) che lo ha cresciuto e che diventa la sua segretaria, e dimostra tutte le sue fragilità.

Sicché il giudizio o meglio il pregiudizio di Sorrentino esce tutto, non tanto e non solo dalla storia che propone ma per le parole che la accompagna: «Ho proposto un Papa diametralmente opposto a quello attuale, perché potrebbe accadere che ne arrivi uno così – risponde il regista È illusorio credere che la Chiesa abbia avviato un lungo cammino verso il cambiamento e l’apertura».

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E’ curiosa ma non troppo l’idea che accompagna il Pio XIII interpretata da Jude Law che immagina un Papa schivo nei confronti della società dell’immagine al punto da non volersi mostrare ai fedeli, una teoria che egli espone ai collaboratori in una scena della serie: “L’artista più famoso al mondo? Banksy. Lo scrittore? Salinger. Il gruppo di musica elettronica? I Daft Punk”. Da dove avrà tratto ispirazione Sorrentino per una scelta del genere quando è almeno da Giovanni Paolo II che il papato si è fatto meno ieratico, mescolando il pastore al suo gregge? Altro contrasto con gli ultimi pontefici?

Insomma da vedere? Si perché no, non si perde di certo la fede con una ricostruzione fantasiosa della Chiesa. Un occasione persa per il cinema? Certamente sì. Un artista dalle capacità e i mezzi quali Sorrentino è riuscito a mettere insieme poteva rendere un servizio migliore non tanto alla Chiesa, quanto alla verità. Quindi molto manierismo, ma poca arte in questo “The Young Pope”.

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