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Rignano Garganico, il ghetto dove cristiani e musulmani (tutti sfruttati) vivono in pace

Vatican Insider - pubblicato il 30/08/16

Un ghetto. Un inferno che ospita più di duemila migranti stipati in baracche precarie. Una città invisibile fatta di degrado e sfruttamento per lavoratori stagionali impiegati nella raccolta di pomodori. Ma in quel grande accampamento di Rignano Garganico (Foggia) non c’è – come invece ha scritto qualche giornale – alcun odio religioso tra cristiani e musulmani. Lo ribadisce con forza al Sir don Francesco Catalano, direttore della Caritas di Foggia: «Qui tutti sono solidali gli uni con gli altri e non si è mai verificato alcun episodio di tensione religiosa, nessuno ha mai impedito di dire messa o di vivere attivamente la propria fede. Non so perché si voglia fare ‘terrorismo dell’informazione’, ma questo fa male a tutti creando un clima di tensione e di odio che non serve a niente».


Nel campo – scrive il Sir – cristiani e musulmani vivono in pace, aiutandosi l’un l’altro. I trecento cristiani, divisi in pentecostali, evangelici, testimoni di Geova e cattolici, vivono in armonia con i più di 1200 musulmani compagni di accampamento.

Il 2 marzo scorso per esempio, dopo l’incendio che ha devastato il campo nel silenzio di tutti, la Caritas con i sacerdoti e i fedeli della parrocchia di Gesù e Maria, ha portato all’interno del ghetto la Croce di Lampedusa, costruita con i resti dei barconi e benedetta da Papa Francesco.

«Una croce alta due metri portata a spalla dai volontari come in una via crucis per tutto il ghetto,  – racconta don Francesco -sotto gli occhi dei migranti per la maggior parte musulmani, che hanno ben accolto l’evento per il grande contenuto simbolico». Ai piedi di quella croce tutti gli abitanti del ghetto hanno deposto una piccola croce realizzata con i resti delle travi di una baracca bruciata, realizzata come segno da lasciare dopo un evento di profonda matrice cristiana, vissuto all’interno del ghetto con la collaborazione dei musulmani presenti.

Proprio la Caritas di Foggia, una delle dieci diocesi in Italia coinvolte nel progetto della Cei “Presidio” per il contrasto del caporalato, opera da tempo in questa comunità di “schiavi invisibili” 

La realtà del ghetto di Rignano è quella di migliaia di uomini e donne sfruttati dai “caporali”. Non hanno un contratto di lavoro, non hanno idea della forza dei loro diritti, hanno paura di denunciare e spesso sono abbandonati a sé stessi. Ci sono fortunatamente la Caritas di don Francesco e le associazioni locali a dar loro sostegno e voce.

«Purtroppo per le istituzioni ci sono persone di serie A e persone di serie C – dice don Francesco -. Noi provvediamo a portare loro coperte, cuscini, taniche d’acqua. Ogni giorno tanti operatori stanno accanto ai migranti ascoltandoli, informandoli sui loro diritti di lavoratori e persone. Cerchiamo di capire se hanno un contratto di lavoro regolare, se hanno una busta paga, e laddove riscontriamo situazioni di sfruttamento li invitiamo a denunciare tutto alle autorità, offrendogli anche protezione». Una comunità ferita dalla vergogna dello sfruttamento lavorativo. Una situazione – conclude il Sir – che sta lentamente cambiando però grazie ai protocolli d’intesa di Ministeri e Regioni e al lavoro durissimo dei volontari di associazioni, cooperative e Caritas.

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