Ecco una storia che piacerà ai media: l’amichevole Joe Biden, il vice-Presidente degli Stati Uniti, sposa due uomini omosessuali. Aggiunge pepe alla cosa il fatto che Biden sia cattolico, perché ha sfidato (amichevolmente) le regole della sua Chiesa.
Quattro giorni dopo, il presidente della Conferenza Episcopale e altri due vescovi statunitensi con incarichi di rilievo hanno risposto.
“Quando un politico cattolico di spicco officia pubblicamente e volontariamente una cerimonia per dare solennità alla relazione tra due persone dello stesso sesso”, hanno affermato, “sorge confusione sull’insegnamento cattolico relativo al matrimonio e sui corrispondenti doveri morali dei cattolici. Quella che vediamo è una contro-testimonianza anziché una testimonianza fedele fondata sulla verità”.
Richiamando papa Francesco, hanno quindi insistito sul fatto che i politici cattolici devono promuovere il bene comune, che include il bene del matrimonio. I vescovi hanno definito quello promosso da Biden nel modo più pratico possibile un atto “a cui i cattolici devono opporsi”.
Ma penso che non basti. È ora di essere chiari.
Dare un nome a cose e persone
Joe Biden conosce l’insegnamento della Chiesa, ma nei fatti ha detto al mondo: “Andate e fate altrimenti”. Il che vuol dire anche “Ignorate la vostra tradizione e le autorità che la mediano per voi”; “Se dissentite su un’altra questione – l’aborto, ad esempio, o la tortura –, fate ciò che volete”.
Un politico cattolico di spicco che dice al mondo che la dottrina morale della sua Chiesa dev’essere ignorata non sta offrendo ai vescovi un momento di insegnamento. Sta chiedendo di essere corretto pubblicamente. Per il suo bene, e per quello della Chiesa, i vescovi avrebbero dovuto nominarlo apertamente.
Penso che i nostri vescovi credano che carità e prudenza richiedono di non nominare le figure pubbliche che dissentono apertamente dalla fede che Dio ci ha donato attraverso la Chiesa cattolica. Ma la carità e la prudenza non vengono espresse tenendo fuori il loro nome. Si ritrovano in quello che dicono su di loro, e a loro, e lo stesso nominarle esprime sia carità che prudenza.
Carità e prudenza
In primo luogo, c’è il modo in cui parliamo alla gente che ha fatto qualcosa di sbagliato. Non si parla dietro le spalle di qualcuno, ma lo si guarda negli occhi e glielo si dice in faccia. Fa parte del permettere che il nostro “Sì” sia “Sì” e il nostro “No” sia “No”. Nei suoi incontri con i farisei, Gesù non ha detto: “Quando alcune persone molto religiose….”, ha parlato loro direttamente.
Se pensate che un uomo debba essere corretto pubblicamente fatelo. È giusto parlargli come si parla a un adulto. Se i vescovi vogliono rimproverare Joe Biden dovrebbero farlo.
In secondo luogo, ed è qui che si vedono più chiaramente la carità e la prudenza, correggere pubblicamente qualcuno chiamandolo per nome rivela la natura e il pericolo dell’offesa. Dire “Joe Biden, hai sbagliato” dice qualcosa di più pressante rispetto a “Quando un politico cattolico di spicco”. Non sottovalutate la differenza. Se la violazione è davvero così grave, la gente si aspetta che i “guardiani” della città dicano qualcosa al violatore, e se i guardiani non lo rimproverano la gente ritiene che la violazione non sia stata così sbagliata.
Dire “Joe Biden, hai sbagliato” dice all’uomo e al resto dei vescovi che quello che ha fatto viola gli impegni della comunità in modo così completo che i suoi pastori devono richiamarlo. Avverte lui e gli altri che respingere così pubblicamente gli insegnamenti della Chiesa mette a rischio il suo posto nella Chiesa stessa, e i cattolici sanno che questo può avere conseguenze eterne. Dice a Joe Biden di pentirsi e dice a chiunque altro: “Non fare lo stesso”.
Una dichiarazione che inizia parlando di un politico di cui non si dice il nome e continua ribadendo in modo generale l’insegnamento cattolico non ha effetto. È un “momento di insegnamento”, non una “correzione”.
Non è sufficiente
Ma non penso che sia sufficiente. Non dubito del difficile compito dei vescovi a livello di prudenza nel decidere cosa dire, quando farlo e con quanta decisione, e comprendo la loro cautela.
Essere indiretti, però, non dice quello che dev’essere detto. Le figure pubbliche di spicco dichiarano il loro cattolicesimo – e se sono politici ne traggono vantaggio – trattando allo stesso tempo l’insegnamento cattolico con noncuranza. Respingono la comprensione della dignità umana che secondo la Chiesa dovrebbe guidare il loro lavoro. Fare questo non comporta conseguenze, e nemmeno un rimprovero pubblico.
Ma li ferisce, e mette in pericolo la loro anima eterna. Ferisce quanti guardano alla Chiesa per ottenerne una guida, che deducono dall’atteggiamento indiretto dei vescovi che l’insegnamento può essere violato, che è più una serie di ideali o di suggerimenti che una via per la santità e per arrivare in Paradiso.
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David Mills, ex direttore esecutivo di First Things, è senior editor di The Stream, direttore editoriale di Ethika Politika e scrive per numerose pubblicazioni cattoliche. Il suo ultimo libro è Discovering Mary. Si può seguire su @DavidMillsWrtng.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]
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