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Scattare SELFIE durante una Celebrazione Liturgica? Una pratica mediale da educare

selfie

don Alessandro Palermo - pubblicato il 25/07/16

Siamo essere mediali perché, quando sperimentiamo qualcosa che ci piace, subito avvertiamo il bisogno di scattare una foto per conservarne il ricordo e per condividerla nella rete per parteciparla agli altri. Tale dinamica possiamo applicarla anche quando stiamo celebrando un’azione Liturgica? In questa mia breve riflessione proverò a dare una risposta.

L’umanità è diventata mediale e forse lo è sempre stata. Se ci riflettiamo, viviamo ormai di azioni e relazioni comunicative che sono allo stesso tempo fisiche e digitali, dirette e mediate. Una situazione questa che a molti potrà sembrare esagerata, ma in realtà esprime una condizione umana: i media sono, infatti, un prodotto della nostra “natura”, precisamente dei nostri bisogni di comunicazione e di relazione.

Se ci fate caso, oggi, non è più scontato distinguere con chiarezza un’esperienza mediata da una non mediata – la nostra esistenza e la nostra comunicazione sono caratterizzate da una condizione che è contemporaneamente offline e online – questo perché le nostre vite sono sempre connesse alla rete, sono diventate digitali; dimostrazione di tutto ciò sono i nostri profili social: attraverso essi, infatti, esistiamo anche nella rete.

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Siamo essere mediali perché nel momento in cui sperimentiamo qualcosa che ci piace, sentiamo il bisogno di conservarne il ricordo scattando una foto con il nostro smartphone – sempre a portata di mano e connesso alla rete – e di condividerla nella rete per parteciparla agli altri. La foto sembra che venga scattata non per essere guardata ma per condividerla, più che vivere quel momento preferiamo fotografarlo, cioè documentarlo e parteciparlo. Le nostre esperienze, pertanto, se non sono condivise rimangono incomplete perché siamo, appunto, esseri mediali, proiettiamo nei media, senza che ce ne accorgiamo, tutto ciò che assapora la nostra vita.

Uno scenario umano che evidentemente piace un po’ a tutti, giovani e adulti, anche a coloro che con discorsi apocalittici mormorano e criticano ma allo stesso tempo continuano ad abitarlo il più delle volte senza conoscere le sue istanze positive e negative e senza cogliere le sue necessità etiche ed educative. Ecco che allora diventa necessario precisare che l’umanità mediale «è chiamata a educarsi ai suoi asset mediali; non può accettarsi per quella che è».

483x309Se l’azione umana è mediale, l’azione di Dio, in un certo in senso. esprime anche tale condizione superandone, però, i limiti e i difetti. Nella Liturgia, per esempio, l’azione umana esige una completa connessione con l’azione di Dio. Nelle celebrazioni liturgiche è opportuno, infatti, chel’unica “funzione mediale” sia quella dello Spirito Santo. In questo senso allora, la Liturgia, in quanto azione umana e divina, non prevede logiche digitali, ovvero non è possibile parteciparvi lasciandosi trasportare dai bisogni di condivisione postando foto o selfie sui propri social network. Secondo la logica mediale un’esperienza per essere completa va condivisa e partecipata, ora tale logica non coincide con quella liturgica anzi, rischia di renderla incompleta perché oltre che a distogliere l’attenzione,interrompe la nostra connessione all’azione divina e riduce la celebrazione eucaristica a un ritaglio da fotografare e non da vivere, ad uno scenario da osservare e non da sperimentare.

Ecco che diventa necessario cominciare ad assumere una “coscienziosa logica mediale”, soprattutto se desideriamo fare “pastorale digitale”, e in concreto bisogna cominciare a :1) conoscere le conseguenze di ogni azione mediale perché «l’uomo mediale può prevedere solo parzialmente le ricadute di un suo post, di un suo selfie, o di un suo tweet, potrà leggere un commento, contare i like o i retweet, ma non percepirà i sorrisi o i musi storti dei suoi interlocutori»; 2) inoltre, evitare il rischio di perdere il riferimento con il reale (offline) anche perché l’esistenza digitale (online) vive e si nutre di ciò che siamo concretamente quando ci relazioniamo face to face; 3) infine, rendersi conto che, nell’azione pastorale, esistono scenari reali che non richiedono dinamiche digitali (tra questi quello della Liturgia) ed esigono una maggiore consapevolezza.

Quando celebriamo l’Eucaristia lasciamo che l’unico selfie sia quello che lo Spirito Santo riuscirà di sicuro ad imprimere nelle nostre vite.

Alessandro Palermo (amandil5)

Riferimenti a: F. Ceretti – M. Padula, “L’umanità mediale. Teoria sociale e prospettive educative”, ETS, Pisa 2016.

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