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Pensavo che tu pensassi… e avevamo entrambi torto

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Sjale/Shutterstock

Theresa Fry - pubblicato il 22/07/16

Come ho imparato che il vero rispetto richiede il fatto di sedersi a parlare

Barry spiccava nella mia classe di Introduzione alla Recitazione della primavera 1999. Ho capito presto che tutti in realtà lo chiamavano Burry, l’abbreviazione di Boruch, e che Barry era il suo “nome inglese”. Probabilmente lo avrei trovato attraente, ma il copricapo che indossava me lo faceva considerare off limits. All’epoca non ero particolarmente religiosa, e anche quando lo ero stata non avevo avuto problemi a uscire con persone di altre religioni, ma sapevo che per lui era un problema. È stato un successo il fatto che non abbia abbandonato le lezioni di recitazione dopo il mio umiliante tentativo di pantomima del primo giorno. Più avanti nel semestre abbiamo fatto un esercizio di classe che implicava il fatto che ciascuno camminasse sul palco della classe e prendesse tra le proprie le mani della persona che si fosse trovato davanti una volta che si fermava.

Vivevo in un quartiere che ritenevamo fosse diventato ebreo ortodosso una decina d’anni prima, ma la maggior parte delle informazioni sugli ebrei a mia disposizione erano tratte dai film, come La Settima Profezia, che ho visto quando avevo 13 anni. Avendolo visto, sapevo che a Burry non sarebbe stato permesso di toccare una donna se non la moglie nel caso in cui si fosse sposato e forse una stretta familiare. Una “gentile” come me doveva essere decisamente off limits.

Quando lui ed io ci siamo ritrovati l’uno davanti all’altra non gli ho quindi offerto le mie mani, e ho cercato di evitare le sue senza guardare. Scommetto che con la mia imbarazzata nonchalance intendessi comunicare che capivo e accettavo quello che ritenevo fosse uno dei 613 comandamenti della sua religione.

Lui è riuscito comunque a prendere le mie mani e io le ho tenute molli, non volendo partecipare più di quanto fosse necessario a quella apparente violazione del suo concetto di legge divina.

Mesi dopo, nel semestre autunnale, mi sono iscritta al corso di Introduzione alla Produzione Teatrale. La classe aveva un co-requisito di un praticantato da un credito. Ho scelto il laboratorio di costumi, e indovinate chi aveva fatto la stessa scelta per via di un’altra classe? Burry.

Si ricordava di me. Per qualche ora una o due volte a settimana ci sedevamo mentre cercavamo di cucire e lui mi parlava come si fa tra amici. All’epoca ero così timida che parlavo raramente, e così mi mancava davvero la compagnia di Burry quando non lavorava negli stessi momenti in cui lo facevo io. Lo consideravo ancora assolutamente off limits, e pur essendo in genere incline alle attrazioni senza speranza non fantasticavo su di lui perché – penso – rispettavo il tentativo altrui di non offendere Dio.

A un certo punto, mentre parlavamo facendo i costumi saltò fuori la storia del prendersi le mani durante la lezione di recitazione. Credo che sia stato Burry a menzionarla per primo, dicendo che pensava che dovessi avere qualche problema con il fatto di prendere la mano di un ragazzo perché ero cattolica. Sono rimasta davvero sorpresa, e gli ho detto che pensavo che fosse il contrario. Poi gli ho chiesto come sapeva che fossi cattolica. Ha detto: “Chi altro chiama la figlia Theresa?” La domanda avrebbe potuto anche essere: “Quale ebreo chiama la figlia Theresa?”, visto che dove vivevamo, a Brooklyn, era molto probabile pensare che una ragazza bianca fosse ebrea o cattolica.

Visto che Burry ha avviato un blog ben prima che i blog diventassero tanto popolari, l’ho cercato occasionalmente su Internet dal nostro ultimo pomeriggio nel laboratorio di costumi, più di 15 anni fa, ma sono ancora molto più riluttante a scrivere un’e-mail o a mandare una “richiesta di amicizia” a un ebreo ortodosso oggi sposato che ha fatto parte della mia vita tempo fa che a farlo con chiunque altro. Penso di rispettare ancora la distanza tra noi che la sua cultura sembra richiedere, anche se potrei sbagliarmi come mi sono sbagliata sul fatto di prendergli la mano.

—-

Theresa Fryè moglie e madre di quattro figli e vive nel nord della Virginia (Stati Uniti). Spera di conseguire un baccalaureato in Inglese presso la George Mason University prima di compiere 40 anni. Anche se sta prendendo in considerazione l’idea di concentrarsi sulla saggistica, forse è più portata per la linguistica.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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