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Fratel Ettore: Cosa salva la vita? una ferita che non si cura!

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Pixabay.com/Public Domain/ © Antranias

Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 16/07/16

Il nuovo libro di Emanuele Fant sul camilliano amico dei barboni

“L’invadente. Fratel Ettore, la virtù degli estremi” (San Paolo edizioni) è il secondo libro di Emanuele Fant su Fratel Ettore. È lo stesso autore a spiegare nell’incipit del testo cosa ha voluto raccontarci in questa seconda avventura narrativa sul “camilliano dei barboni”:

“Tra i documenti personali del servo di Dio fratel Ettore Boschini ho trovato un vecchio articolo di cronaca nera. Tutto lo spazio disponibile nei margini era stato usato per appuntare a penna riflessioni dolorose e illuminanti. Quell’episodio, che nessuno ricorda, ha costituito un tragico punto interrogativo nella vicenda del camilliano, oltre a un’occasione per spingere all’estremo la sua indagine umana e spirituale. Nel mio racconto mi autorizzo a immaginare il prima e il dopo, prendendo qualcosa dal vero”.

FRATEL ETTORE E LA STATUA DELLA MADONNA SUL TETTO DELLA SUA MACCHINA

Il fatto di cronaca sul quale si fonda la trama del libro riguarda un omicidio, una morte violenta, che porta miracolosamente senso e sapore nella vita di Vanni e della piccola Valentina, attraverso Fratel Ettore, un uomo folle che salva i poveri e i disperati, innamorato della Madonna. Infatti nelle prime pagine del libro incontriamo il frate che porta con sé la statua della Vergine persino durante la registrazione di una trasmissione condotta da Mike Bongiorno – nonostante il diniego degli autori del programma-  la stessa statua che tiene gelosamente fissata sul tetto della sua macchina sgangherata.

«La vecchia auto (…) compatta la carrozzeria con poster di volti santi che oscurano i finestrini, motti edificanti composti con lettere adesive e due croci rosse sulle portiere… »

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Fratel Ettore la fede la porta così, la impone, la spiattella addosso invadendo e importunando chiunque incontri con rosari, storie, libricini su San Camillo de’ Lellis, Ave Maria recitate insieme ai “suoi” barboni, che così “difende” immediatamente prima dell’intervista televisiva:

« -Non si dice, barboni. -Lo annoto. Come preferisce che li definiamo? Clochard va bene? -Io dico amici. Tu di’ come ti pare. Se non entra la Mamma, non entro io. Maria, madre mia, madre sua e madre vostra. Madre pure di Mike Bongiorno, pure di quei ballerini che continuano a sghignazzare».

COSA SALVA LA VITA? UNA FERITA CHE NON SI CURA!

Per questi barboni e con il loro aiuto Fratel Ettore sta costruendo in Abruzzo una casa estiva quando Vanni e sua figlia Valentina, che stanno attraversando il dolore per la morte violenta, rispettivamente della moglie e della madre, lo raggiungono per trovare una risposta alla loro disperazione.

Per Vanni è assurdo credere che le ferite di ciascuno noi affidate alle mani del Signore divengono feritoie – speciali fessure attraverso cui ha modo di agire la Sua Grazia, di realizzarsi la Sua Volontà e la pienezza della nostra vita – quando fratel Ettore lo invita a pregare per l’assassino di sua moglie, perché lei “è in paradiso” mentre quell’uomo ha bisogno di preghiere e conversione. Assurde e inaccettabili gli appaiono le parole di quel frate pazzo e rompiscatole. In quel momento le scaccia, neppure vorrebbe ascoltarle ma in seguito ne farà esperienza e quel paradosso grande sarà la sua salvezza.

Nel seguente passaggio Fratel Ettore riesce a far comprendere a Vanni il senso della sua proposta, che rappresenta anche il vero segreto della nostra felicità:

«– Tu, milanese, come ti chiami? Muoviti, andiamo! (…) Sali e partiamo! Il religioso fa accomodare Vanni sopra al parafanghi del trattore, dopo alcuni tentativi lo riesce anche ad avviare. Partono in salita verso il paese di Bucchianico (…)Ecco quello che ti volevo mostrare. (…) In una di quelle case è nato il mio fondatore, san Camillo de’ Lellis: una vita da peccatore dei peggiori, giocava ai dadi, si ubriacava, andava con le donne a pagamento. Era un mercenario. Poi la sua vita è cambiata: si è messo a servire i poveri negli ospedali. (…) – Lo sai per cosa è cambiata? (…) Il motivo non te lo dico ora. Te lo voglio mostrare. La sosta successiva è nella piazza principale. Gli anziani ai tavolini sospendono la partita a carte per commentare il parcheggio creativo: proprio davanti al portone della chiesa. – Un bel segno della croce, lo sai fare? Vieni, vieni, devi guardare da vicino. Che cosa vedi dentro quel contenitore? – Una pantofola. – Che Dio ti perdoni, questa non è una pantofola normale. È la santa pantofola del mio fondatore! (…) A Camillo la pantofola morbida serviva per diminuirgli il dolore alla gamba destra, dove per tutta la vita ha avuto una ferita che non si voleva rimarginare in nessun modo. La piaga, innanzi tutto, lo ha fatto andare all’ospedale, dove ha visto da vicino come stavano i malati. Poi, quando gli sembrava che il suo futuro fosse diventare cappuccino, il saio ruvido si è messo a sfregare proprio lì, così ha dovuto abbandonare. Di nuovo a Roma, per farsi medicare, ha deciso che non gli stava bene come venivano trattati i pazienti senza soldi. E allora, ecco, i camilliani!(…) – Come venivano trattati? – Semplicemente senza cuore! Così si è rimboccato le maniche e non ha avuto neanche più tempo per peccare. Adesso ti faccio di nuovo la domanda di prima. Stai attento: cosa ha salvato la vita a san Camillo de’ Lellis, il mio venerato fondatore? – Una ferita che non si curava. -Vedo che impari».

Quando non riusciamo a credere alle parole di chi ci guida nella fede, possiamo guardare alle storie degli uomini e delle donne che ci hanno preceduto, che oggi sono santi, e che scioccamente immaginiamo così lontani e irraggiungibili. Eppure sono stati uomini che non hanno fatto altro che riporre le loro ferite sanguinanti, le sofferenze piccole e quelle più atroci, ogni dolore, incapacità e fatto incomprensibile della loro esistenza, in Cristo Gesù che li ha trasformati in sorgenti, “invadenti” e traboccanti, di acqua viva.

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